Elena

Posted by on April 17, 2020

https://www.raiplay.it/video/2019/09/Teatro—elena-fed1c93c-a0bf-4ed2-86bc-4f1fa919ef6b.html https://youtu.be/VKtZ0Wa8AHY Ultimo appuntamento di Estate Teatrale Veronese al Teatro Romano, arriva sul palco ‘Elena’ di Euripide con Laura Marinoni diretta dal regista di fama internazionale Davide Livermore Venerdì 13 e sabato 14 settembre alle 21 l’Estate Teatrale Veronese propone, come ultimo spettacolo della stagione al Teatro Romano, Elena di Euripide. Sul palco Laura Marinoni

https://www.raiplay.it/video/2019/09/Teatro—elena-fed1c93c-a0bf-4ed2-86bc-4f1fa919ef6b.html

https://youtu.be/VKtZ0Wa8AHY

Ultimo appuntamento di Estate Teatrale Veronese al Teatro Romano,
arriva sul palco ‘Elena’ di Euripide con Laura Marinoni diretta dal regista di fama
internazionale Davide Livermore

Venerdì 13 e sabato 14 settembre alle 21 l’Estate Teatrale Veronese propone, come ultimo spettacolo della stagione al Teatro Romano, Elena di Euripide. Sul palco Laura Marinoni sarà diretta dal regista di fama internazionale Davide Livermore, che ha inaugurato la scorsa stagione operistica del Teatro Alla Scala di Milano con Attila di Verdi e che sta preparando l’apertura anche della prossima stagione con Tosca di Puccini.
Lo spettacolo, in esclusiva per Verona dopo aver battuto il record di spettatori al Teatro Greco di Siracusa, è frutto della rinnovata collaborazione tra l’Istituto Italiano del Dramma Antico ed Estate Teatrale Veronese, che segue la positiva esperienza delle due precedenti edizioni (con Sette contro Tebe, regia di Marco Baliani e Eracle, regia di Emma Dante).
Elena si avvale di una potente architettura visiva grazie ad una superficie nera d’acqua che occupa interamente il palco, il fascino dei costumi di Gianluca Falaschi, lo schermo che avvolge e abbraccia il retro della scena e una coinvolgente e seducente drammaturgia sonora, creata ad arte da Andrea Chenna e che intreccia perfettamente molti generi musicali miscelati tra loro.
Paride non ha rapito Elena, ma un fantasma con le sembianze di Elena. La vera Elena si trova in Egitto, dove il re Teoclimeno intende sposarla a forza. Per sfuggirgli, Elena si rifugia in un luogo sacro. Qui incontra il naufrago Menelao (suo marito) reduce da Troia con pochi soldati.
Riconosciutisi, i due mettono a punto un piano di fuga.
Fingendo di aver saputo da un viandante (Menelao stesso) che il marito è morto, Elena ottiene dal re una nave per fare un rito funebre in mare. Imbarcatosi con Elena, Menelao e i suoi soldati, eliminano la ciurma e fuggono. Il re, gabbato, vorrebbe uccidere la sorella, l’indovina Teonoe, che con il suo silenzio ha favorito la fuga dei Greci. Ma i Dioscuri lo frenano, convincendolo ad accettare la volontà degli dei.
Livermore – che per il suo allestimento ha immaginato una Elena anziana che fa riaffiorare i suoi ricordi in uno Stige nero, luogo concreto e insieme visionario, nel quale gli stessi ricordi sprofonderanno nuovamente – ama Elena perché “è tragedia atipica dai contorni che sfumano in un gioco ironico; il finale poi, sembra irridere coloro che cercano di fare dell’arte un elenco di categorie, che debbano pedantemente rispondere a regole fisse. In Elena non si muore. E si sorride come nelle tragedie elisabettiane, che in fondo ci risultano sempre un po’ lontane, nonostante i nostri sforzi intellettuali, perché capaci di lasciare convivere le componenti del tragico e del comico, capaci di non vivisezionare la vita e le sue componenti in un modo un po’ troppo laico, libero..inglese. Forse anche per questo Elena non viene rappresentata da oltre quattro decenni, perché non risponde a nessuna aspettativa della critica che etichetta, ma chiede a chi critica di essere libero da attese, aperto ad accettare un altro livello, forse semplicemente moderno”.
“Amo la forma libera del creare, credo che le migliori cose che possiamo vivere della nostra vita nascano dal superamento della certezza e dal desiderio di rappresentaci con un gesto creativo – dice ancora Livermore – E nell’arte amo l’Euripide di questa Elena che mi sorprende e diverte come amo Mozart nell’Idomeneo, capace di rompere la ristallizzazione della forma dell’Opera Seria, o il rock di Emerson Lake & Palmer, dove a vincere è la voglia di fare musica per raccontare la vita in modo aperto e libero rischiando sempre, perché questo è il prezzo dell’indipendenza intellettuale. In Elena la verità è talmente improbabile che ci accosta al mondo del ricordo e al modo in cui ognuno di noi, in questo tempo post freudiano, gioca con la vita e la sua rappresentazione. La negacion de la evidencia diceva Calderon, che spesso è un meccanismo dove ricadiamo per lasciare svaporare verità inaccettabili o insostenibili, fatti dolorosi.

Esiste una colpa più pesante di quella di aver generato il più grande conflitto armato della storia antica? …Ah disgraziata Elena, quanti troiani sono morti per te…
Tra i tanti aspetti di questo lavoro, Elena ci costringe al confronto con un alto e altro livello di menzogna, quella giocata in modo consapevole, ironicissimo e amaro al contempo, quel livello di sofisticazione proprio di donne e uomini che fanno i conti con la vita; persone illuminate di consapevolezza, che con la vita stessa e la sua rappresentazione giocano con arte, disponendo i ricordi nello spazio della memoria.
Quello che vedremo sarà uno spazio dove affiorano i tanti naufragi di un’esistenza, e vedremo Elena vecchia, alla fine della sua vita, che dispone dei suoi ricordi e crea questa immagine fatta di cielo che respira con le sue fattezze per cambiare almeno un po’ la memoria, per giocare con essa, per immaginare un’altra possibilità, per sognarla, per un altro finale, come per tutti noi il desiderio di un happy ending”.
Nel cast di Elena, oltre la protagonista, una carismatica, affascinate, travolgente (come è stata definita dalla critica) Laura Marinoni, anche Sax Nicosia (Menelao), Giancarlo Judica Cordiglia (Teoclimeno), Viola Marietti (Teucro), Maria Grazia Solano (la Vecchia), Simonetta Cartia (Teonoe), Linda Gennari e Maria Chiara Centorami (messaggeri), Federica Quartana (la corifea). Coro: Bruno Di Chiara, Marcello Gravina, Django Guerzoni, Giancarlo Latina, Silvio Laviano, Turi Moricca, Vladimir Randazzo, Marouane Zotti. Dioscuri: Marcello Gravina e Vladimir Randazzo. La traduzione è di Walter Lapini, le scene di Davide Livermore, i costumi di Gianluca Falaschi, le musiche di Andrea Chenna, le luci di Antonio Castro, videomaker è Paolo Jep Cucco.

NOTA DEL TRADUTTORE – WALTER LAPINI

Con l’Andromeda e l’Ifigenia in Tauride, l’una perduta e l’altra conservata, l’Elena forma il trittico delle escape-tragedies, come le chiama Matt Wright in uno studio del 2005. Euripide utilizza un mito già presente in Stesicoro: la donna andata a Troia con Paride era un’immagine, un doppio.
La vera Elena ha trascorso il tempo della guerra in Egitto e lì ha vissuto in castità, protetta dal buon re Proteo. Ora però Proteo è morto, e Teoclimeno, suo figlio e successore, si è piccato di sposarla. Menelao di ritorno da Troia fa naufragio e, combinazione, approda in Egitto. Marito e moglie si ritrovano, si riconoscono e progettano la fuga, per la quale occorre però la collaborazione di Teonoe, sorella di Teoclimeno, profetessa, a cui nulla sfugge del presente e del futuro. L’ingranaggio teatrale è perfetto nei suoi incastri e giunture: scorrevole, brillante, movimentato; poco tragico, si direbbe, data la nostra abitudine ad associare il tragico con l’idea di cupezza e lentezza. Charles Segal diceva che «la commedia moderna è nata precisamente nel 412 a.C., l’anno dell’Elena e dell’Andromeda». Molto contribuisce a questa aria di commedia la trovata della falsa Elena, fantasia grottesca e lunare, che richiede allo spettatore una suspension of disbelief di non piccolo conto. Se si pensa che la tragedia attica, in un caso su tre a dir poco, trattava vicende legate al ciclo troiano, è facile capire quanto potesse essere scioccante una versione del mito in cui la colpa di Elena, motore ed essenza di quella catena di eventi, veniva ridotta a un’illusione. Sarebbe come dire che Gavrilo Princip non uccise mai Francesco Ferdinando, o che l’Argentina non occupò mai le Falkland. Con le Troiane, rappresentate nel 415, Euripide aveva mostrato in diretta il dolore della guerra; con l’Elena, del 412, ne mostra la sostanza elusiva e beffarda, e quindi la follia. Infinite crudeltà per una futile causa; e ora si scopre che quella causa neppure sussisteva. Difficile immaginare un modo più radicale, più plateale, per prendere le distanze dalla guerra. È dunque proprio l’elemento più stravagante, il fantasma, a portarci nel coeur caché profondamente tragico di quest’opera. Il coro ribadisce: «folli voi tutti che nella guerra, nel cozzare di armi gagliarde, cercate la gloria. È sciocco pensare di porre fine così alle ingiustizie dell’uomo sull’uomo. Se decideremo le dispute con scontri di sangue, mai la discordia lascerà le città degli uomini» (vv. 1151-1158). S’intende che deplorare la guerra in atto, contro la lega peloponnesiaca, non significava deplorare la guerra in assoluto. Quando i Greci parlano di pace, intendono pace fra Greci, la quale non esclude, e anzi spesso implica, la guerra contro il barbaro, che è guerra eterna, naturale – «zoologica», come l’avrebbe definita Ernest Renan.
L’Elena pone al traduttore gli stessi problemi di qualunque altro testo antico: ad esempio il problema delle ripetizioni, che i Greci sopportavano e noi no; il problema dei Realien (bene la provvidenza, bene l’entelechia: ma come descrivere un telaio?); il problema dei cori, con le loro strofi a cubo di Rubik, in cui resta sempre qualcosa fuori posto. E infine il problema dei concetti assiali, fra cui il più importante, per quanto ci riguarda, è appunto il fantasma di Elena, l’eidolon.
Quando Paride fugge con l’eidolon, dire immagine o spettro va bene. Ma siccome Paride usa l’eidolon anche come moglie, serve una parola che trasmetta l’idea di una pur volatile corporeità. Ectoplasma o avatar potrebbero funzionare, se non fossero vocaboli di per sé impoetici. Albini scrive «bambola», soluzione felice (l’ho copiata) ma monouso. Nel caso dell’eidolon – a differenza di quanto è accaduto per il lekythion-boccetta di Aristofane o per il kinoun-motore di Aristotele – la tradizione non ha avuto il tempo, o la forza, per selezionare e stabilizzare un iponimo.
La parte che mi ha dato più filo da torcere, e della cui resa sono dunque più orgoglioso, è la scena che segue al riconoscimento fra Menelao ed Elena, ai vv. 625-697, tanto piena di cerimonie e moine che diventerebbe un duetto Albano-Romina se il traduttore non intervenisse.
La maschera del teatro antico costringeva i personaggi a parlare come alla radio, rendendo inevitabile l’eccesso di melodramma verbale. Ma dove i lineamenti del viso sono liberi di esprimersi, sgonfiare la bolla retorica non è tradire il testo, bensì salvarlo. Ho scelto di prima tradurre per conto mio e solo poi collazionare le traduzioni esistenti. In cinque o sei casi, che non sono pochi, mi è accaduto di usare le stesse frasi di altri. Non singole parole, dico frasi intere. E non dico simili, dico identiche. Può sembrare incredibile ma accade. Serve umiltà per cambiare il già fatto quando ti accorgi che qualcuno ci è arrivato prima, ma ne serve anche di più per non cambiare una soluzione che ti sembra ottimale solo per il timore che ti diano del plagiario. La seconda opzione mi è parsa quella giusta e me ne prendo il rischio.
Ho cercato di non dare al Greekless reader pretesti per sghignazzare. Ho cassato gli «o
donna», gli «o vecchio», gli «o vergine», gli «ahimé» e quant’altro. In certi dialoghi ho introdotto il «voi». La scelta farà discutere, ma la difendo serenamente.
Elena è la donna più bella del mondo, ma il lettore non se ne accorge. Euripide ci parla di un camminare vezzoso (v. 1528), di un piede ben fatto (v. 1570), ma né Teucro né Menelao né Teoclimeno diventano più verdi dell’erba davanti a lei. La quale non mena vanto della sua grazia, ma la vive come un fardello. Sente il dispiacere per i tanti che sono morti a causa sua, soffre per la sua fama di donnaccia. Vorrebbe tornare in patria per riabilitarsi, accasare la figlia, invecchiare in pace. Il personaggio non fa sognare, ma è schietto, e si offre totalmente, non occorre interpretarlo.
Diversamente le cose stanno per Menelao. Il suo eroismo va e viene. Certo non gli giova il precedente del terzo libro dell’Iliade, dove lui e Paride si affrontano a duello. Paride sta per soccombere, ma Afrodite lo salva, lo trasporta dal campo di battaglia al talamo; addirittura gli mette Elena nel letto. E così mentre Menelao, fuori, si aggira infuriato fra sudore e polvere, il rivale se ne gode la moglie. Solo la dolente renitenza di Elena ripristina il registro serio ed evita (non per nulla Omero è Omero) la deriva boccaccesca. Ma questa scena segna per sempre il personaggio. Euripide si permette con lui ciò che probabilmente non si permetterebbe con nessun altro eroe dell’epos. Non riesco a immaginare, se non in un dramma satiresco, un Agamennone o un Aiace alle prese con la vecchia portinaia dei vv. 437-482. Ma nella scena del minacciato suicidio, della profezia sul sangue che insozzerà la tomba-altare e sull’orrore inestinguibile destinato a seguirne (vv. 947-995), Menelao attinge a grandezza autentica. E ciò dovrebbe trattenerci, come ha trattenuto me, dallo spingere lo scontro con la portinaia fino alla sguaiataggine e al ridicolo. O a polarizzare troppo i preparativi di fuga ai vv. 1032-1084, mettendo una distanza incolmabile fra la moglie accorta e il marito tutto foga e niente cervello.
Teoclimeno gode di pessima stampa. I manuali di letteratura, compreso il mio (Il Mulino, 2017), lo descrivono come un uomo empio, violento e ottuso. I traduttori non perdono occasione per metterlo in cattiva luce. Eppure Teoclimeno, quando gli dicono che Menelao è morto, non esulta (ritengo autentico il v. 1197). Quando parla con Elena, è pieno di attenzioni. Quando i Dioscuri gli spiegano qual è la volontà di Zeus, lui accetta e si rassegna. Sue sono le parole benedicenti che chiudono la pièce, suo è il cammeo sulle virtù di Elena, suo il makarismos ai divini fratelli.
Né si vede bene quali siano le sue colpe. È vero che, se gli chiedessero indietro Elena, non la restituirebbe, ma è anche vero che nessuno gli fa una richiesta del genere; e inoltre, morto Menelao (come lui crede), anche l’impegno di Proteo viene meno.
Non voglio commettere il vecchio errore di psicanalizzare i personaggi letterari come se
avessero vita propria; ma se il destino di Teoclimeno è quello di essere riabilitato nel finale, forse non è il caso di linciarlo di continuo. Nelle scene dei doppi sensi (vv. 1195-1300, 1390-1440), in cui i coniugi diabolici si scambiano messaggi cifrati e l’ignaro barbaro si impiglia in non voluti griphoi di malaugurio, il pubblico avrà apprezzato la brillantezza e aderenza degli incastri, e avrà riso. Io invece, non so perché, provo angoscia. Il mio cast: Sharon Stone di Casino (Elena), Josh Brolin (Menelao), Tilda Swinton di Narnia (Teonoe); Omar Sharif (Teoclimeno).

Inizieranno, domenica 8 settembre, nella sala Filarmonica le prime prove al chiuso per Elena che farà il suo debutto a Verona venerdì 13 settembre, in replica sabato 14 settembre. Seguiranno poi tre giorni di prove sul palcoscenico del Teatro Romano.

Lo spettacolo, che sarà l’ultimo appuntamento al Romano per la stagione di Estate Teatrale Veronese, rinnova la felice collaborazione con l’Istituto Italiano del Dramma Antico per portare in scena questa opera di Euripide sotto la guida del regista di fama internazionale Davide Livermore.

Elena, che ha affascinato ed appassionato migliaia di spettatori al Teatro Greco di Siracusa ad inizio di stagione, vedrà sul palco Menelao (Sax Nicosia) ed Elena (Laura Marinoni) che si ritroveranno dopo la guerra di Troia ma, almeno in un primo momento, nulla andrà come immaginato dalla donna.

Il cast è poi composto da: Viola Marietti (Teucro), Maria Grazia Solano (una vecchia), Maria Chiara Centorami (messaggero di Menelao), Simonetta Cartia (Teonoe), Giancarlo Judica Cordiglia (Teoclimeno), Linda Gennari (messaggero di Teoclimeno), Federica Quaranta (Corifea). Coro: Bruno Di Chiara, Marcello Gravina, Django Guerzoni, Giancarlo Latina, Silvio Laviano, Turi Moricca, Vladimir Randazzo, Marouane Zotti. Dioscuri: Marcello Gravina e Vladimir Randazzo. Costumi: Gianluca Falaschi; musiche: Andrea Chenna; disegno luci: Antonio Castro; video design: D-Wok; assistente alla regia: Alberto Giolitti; assistente scenografo: Lorenzo Russo; assistente ai costumi: Anna Missaglia; direttore di scena: Mattia Fontata; assistente volontari: Dario Castro, Eleonora Sabatini; coordinatore allestimenti: Marco Branciamore; responsabile sartoria: Marcella Salvo; progetto audio: Vincenzo Quadarella; responsabili settore scenografico: Antonio Cilio, Carlo Gilè; responsabile trucco e parrucco: Aldo Caldarella. Costumi – Laboratorio di sartoria Fondazione Inda Onlus. Scenografie – Laboratorio di scenografia Fondazione Inda Onlus.

Il 13 e 14 settembre, per l’ultimo appuntamento di Estate Teatrale Veronese al Teatro Romano, arriva sul palco ‘Elena’ di Euripide con Laura Marinoni diretta dal regista di fama internazionale Davide Livermore

Dopo la positiva esperienza delle due precedenti edizioni (con Sette contro Tebe, regia di Marco Baliani ed Eracle, regia di Emma Dante), ritorna anche quest’anno la collaborazione tra l’Istituto Italiano del Dramma Antico ed Estate Teatrale Veronese. Il 13 e 14 settembre alle 21 il Teatro Romano ospiterà Elena di Euripide, in esclusiva per Verona dopo il debutto nel mese di maggio al Teatro Greco di Siracusa. Sul palco Laura Marinoni sarà diretta dal regista di fama internazionale Davide Livermore, che ha inaugurato la scorsa stagione operistica del Teatro Alla Scala di Milano con Attila di Verdi e che è stato richiamato ad inaugurarla anche quest’anno con Tosca di Puccini.

Livermore – che per il suo allestimento ha immaginato una Elena anziana che fa riaffiorare i suoi ricordi in uno Stige nero, luogo concreto e insieme visionario, nel quale gli stessi ricordi sprofonderanno nuovamente – ama Elena perché “è tragedia atipica dai contorni che sfumano in un gioco ironico; il finale poi, sembra irridere coloro che cercano di fare dell’arte un elenco di categorie, che debbano pedantemente rispondere a regole fisse. In Elena non si muore. E si sorride come nelle tragedie elisabettiane, che in fondo ci risultano sempre un po’ lontane, nonostante i nostri sforzi intellettuali, perché capaci di lasciare convivere le componenti del tragico e del comico, capaci di non vivisezionare la vita e le sue componenti in un modo un po’ troppo laico, libero..inglese. Forse anche per questo Elena non viene rappresentata da oltre quattro decenni, perché non risponde a nessuna aspettativa della critica che etichetta, ma chiede a chi critica di essere libero da attese, aperto ad accettare un altro livello, forse semplicemente moderno”. Quello che vedremo sarà “uno spazio dove affiorano i tanti naufragi di un’esistenza, e vedremo Elena vecchia, alla fine della sua vita, che dispone dei suoi ricordi e crea questa immagine fatta di cielo che respira con le sue fattezze per cambiare almeno un po’ la memoria, per giocare con essa, per immaginare un’altra possibilità, per sognarla, per un altro finale, come per tutti noi il desiderio di un happy ending”.

SERVIZIO BIGLIETTERIA Box Office (via Pallone 16, Verona, tel. 0458011154); circuito Geticket (rivenditori e sportelli Unicredit abilitati su geticket.it), acquisto online su geticket.it, boxofficelive.it e tramite CALL CENTER (tel. 848002008).

Nelle serate di spettacolo vendita dei biglietti nei luoghi di rappresentazione dalle ore 20. Apertura dei cancelli al Teatro Romano ore 20.15.

info estateteatraleveronese.it spettacolo@comune.verona.it

tel. 0458077500 (URP)

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