Guillaume Tell Guglielmo Tell

Posted by on August 11, 2021

 Palafestival Pesaro 1995 Conductor Gianluigi Gelmetti  Michele Pertusi, Gregory Kunde, Ildebrando D’Arcangelo, Elizabeth Norberg-Schulz, Daniela Dessì, Monica Bacelli  Alessandra Ferri Josè Manuel Carreño  Regia di Pier Luigi Pizzi Maestro del coro Giulio Bertola Direttore Riccardo Muti Regia Luca Ronconi Teatro Alla Scala Ballett Carla Fracci, Alessandro Molin Scene Gianni Quaranta Costumi Vera Marzot Luci Vannio

 Palafestival Pesaro 1995

Conductor Gianluigi Gelmetti

 Michele Pertusi, Gregory Kunde, Ildebrando D’Arcangelo, Elizabeth Norberg-Schulz, Daniela Dessì, Monica Bacelli

 Alessandra Ferri
Josè Manuel Carreño

 Regia di Pier Luigi Pizzi

Maestro del coro Giulio Bertola
Direttore Riccardo Muti
Regia Luca Ronconi

Teatro Alla Scala Ballett
Carla Fracci, Alessandro Molin

Scene Gianni Quaranta
Costumi Vera Marzot
Luci Vannio Vanni

Arnoldo Chris Merritt
Edwige Luciana D’Intino
Gessler Luigi Roni
Gualtiero Giorgio Surjan
Guglielmo Tell Giorgio Zancanaro
Jemmy Amelia Felle
Matilde Cheryl Studer
Melchthal Franco de Grandis
Rodolfo Ernesto Gavazzi

Guillaume Tell Nicola Alaimo
Arnold Melchtal Juan Diego Flórez
Walter Furst Simon Orfila
Melchtal Simone Alberghini
Jemmy Amanda Forsythe
Gesler Luca Tittoto
Rodolphe Alessandro Luciano
Ruodi, a fisherman Celso Albelo
Leuthold / A hunter Wojtek Gierlach
Mathilde: Marina Rebeka
Chorus & Orchestra Teatro Communale di Bologna

Conductor Michele Mariotti
Director Graham Vick
Set Designer Paul Brown
Costume Designer Paul Brown
Lighting Designer Giuseppe Di Iorio
Choreographer Ron Howell
Chorus Master Andrea Faidutti

http://www.teatromassimo.it/teatro-massimo-tv-567/guillaume-tell.html

 

Direttore Michele Mariotti
Mathilde Marina Rebeka

Pesaro XXXIV ROF
20 agosto 2013

Orchestra & Ballett Teatro Alla Scala
Maestro del coro Giulio Bertola

Direttore d’orchestra Riccardo Muti

Regia Luca Ronconi
Scene Gianni Quaranta
Costumi Vera Marzot
Luci Vannio Vanni
Arnoldo Chris Merritt

 Carla Fracci
Alessandro Molin

Edwige Luciana D’Intino
Gessler Luigi Roni
Gualtiero Giorgio Surjan
Guglielmo Tell Giorgio Zancanaro
Jemmy Amelia Felle
Matilde Cheryl Studer
Melchthal Franco de Grandis
Rodolfo Ernesto Gavazzi

3 thoughts on “Guillaume Tell Guglielmo Tell

  1. L’ATTESISSIMO GUILLAUME TELL INCANTA E FA DISCUTERE PESARO

    Era da un anno che i melomani di tutto il mondo attendevano trepidanti le quattro recite del Guillaume Tell prodotto dal Rossini Opera Festival di Pesaro. Grande attrazione il debutto europeo del tenore Juan Diego Florez nel ruolo assassino di Arnold e, ad aumentare aspettative e speranze, l’esecuzione monstre in versione integrale,ormai una rarità viste le quasi cinque ore di (sublime) musica. Era così naturale aspettarsi, alla prima dell’11 agosto, un’Adriatic Arena tutta esaurita, ma non era nemmeno lontanamente immaginabile lo spettacolo geniale ideato dal regista Graham Vick per quest’opera che parla di libertà, popolo e natura. Fin dall’ingresso in sala è evidente che ci si trova di fronte ad una rilettura: non deve essere tanto questo a stupire, dato che Vick ci ha abituati a questo genere di spettacoli, quanto il fatto che sul sipario spicca, su sfondo bianco e naturalmente rosso, un enorme pugno chiuso. Il riferimento politico è più che eloquente. Guglielmo Tell e comunismo? Cosa c’entrano? ci si chiede. Poi l’opera inizia: se spazialmente ci si trova in un’ampia stanza bianca, in cui risalta la scritta “EX TERRA OMNIA”, l’ambientazione temporale è fra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, ma per volontà di Vick l’antico si fonde con il moderno, di fianco alle balestre si notano le cineprese con cui gli austriaci oppressori filmano in maniera ossessiva ogni istante della loro vita di tiranni. Come non pensare ai filmati provenienti dai campi di concentramento, dai lager, realizzati da gerarchi nazisti maniaci della documentazione e della prevaricazione. Man mano che il Guillaume Tell prosegue, le intenzioni del regista vengono a galla sempre più forti: egli ha voluto mostrare la nascita del processo di ribellione di una classe contadina contro una borghesia dai tratti diabolici. Vetta assoluta è stato il terzo atto: durante una lunghissima sequenza di danze Vick ha mantenuta altissima la tensione mostrando le depravazioni di una borghesia aristocratica, mettendone in luce i molti tratti infernali. E il popolo, contadino e proletario, legato a quella terra che per l’invasore/sfruttatore è solo sporcizia, è costretto a subire angherie di ogni tipo, fino all’umiliazione sessuale, che non risparmia nemmeno i bambini. Per fortuna arriva Guillaume Tell, fazzoletto rosso al collo e barba alla Che Guevara, a rifiutare l’inchino dimostrando così che una ribellione è ancora possibile. Nella lettura del regista inglese i patrioti diventano partigiani, la difesa della Nazione diventa strenua lotta per la terra, per non perdere le proprie radici. E’ nell’attaccamento del popolo, vero protagonista dell’opera come notato dallo stesso Vick, al suolo, alla campagna non idealizzata ma tangibile, lavorata da mani callose, che si respira la natura così potentemente presente nel capolavoro rossiniano. Non è la natura oleografica vecchia di un secolo, esistente di per sé, ma è la natura e la sua gente, vista come madre e sorella dell’uomo.Molti si sono interrogati riguardo ai cavalli finti del secondo atto, prima cavalcati dagli austriaci/borghesi durante le riprese della cinepresa, poi divelti dal popolo, trasformati in barricate su cui svettano bandiere rosse. Io ritengo che essi simboleggino al meglio la contrapposizione fra le due diverse classi sociali, fra i differenti modi di intendere il mondo: per gli oppressori l’artificio, la tecnologia e la finzione plastificata sono il futuro, possono sostituire benissimo campi coltivati e pascoli erbosi, mentre il popolo non ci sta, il popolo non vuole perdere la propria identità così legata a certi paesaggi. “EX TERRA OMNIA”, dalla terra tutte le cose, a significare l’importanza di questo elemento primordiale, e anche l’origine delle rivoluzioni, e cioè il basso, i poveri. Lo capisce anche il giovane Arnold, inizialmente affascinato dalla divisa nemica, che poi decide di cingere il fazzoletto rosso, alzare il pugno e guidare alla vittoria la ribellione. E l’aria di Arnold è stato il momento più poetico dell’intera serata, con un filmato a mostrare l’infanzia semplice, fra orti e prati, di questo eroe rivoluzionario. Arnold, già. Con quale voce deve cantare Arnold, il tenore vocalmente più problematico fra quelli ideati dal sadico Rossini? Il primo interprete fu Nourrit, contraltino creatore anche della parte acutissima, argentina di Ory. E Florez è il migliore dei contraltini, a mio avviso non solo di questo tempo. Il problema è che Arnold deve essere dotato sì del canto alato e frizzante in cui Florez fa meraviglie, ma deve possedere anche accento trascinante, una certa dose di veemenza, specie nella celeberrima cabaletta del quarto atto, troppo spesso più croce che delizia. Alla luce della recita pesarese, è emerso che Florez non può essere l’interprete di riferimento assoluto in questo ruolo, ma ritengo comunque che si sia avvicinato a questo non facile traguardo. Il suo Arnold sa porgere la frase con un’eleganza di cui nessun altro tenore è capace, nell’abbandono amoroso il legato è di una bellezza eterea. Pulitissima la linea di canto, centrati gli acuti come tiri perfetti di cerbottana. Non saprei indicare un cantante contemporaneo la cui perfezione tecnica superi quella di Florez, e anche fra le glorie del passato mi trovo in difficoltà. Purtroppo (o per fortuna) la parte, come già detto, è di una difficoltà mostruosa, e nonostante la bravura Florez è giunto evidentemente affaticato al termine della cabaletta “Amis, amis secondez ma vengeance”, il cui acuto finale è uscito non senza difficoltà. Ma l‘aria precedente “Asile hereditaire”, quella che tutti aspettano, è stata cantata in maniera fantastica, con trasporto e tenerezza, perfette le note alte, sufficientemente sostenute quelle gravi, con varietà d’accenti a valorizzare la singola parola. Le lunghe linee melodiche del pezzo, poi, sono state levigate con la maestria di un Canova. Io penso che per tre minuti di cabaletta, in cui è uscita la fatica che un simile ruolo porta inevitabilmente con sé, non si possa mettere in discussione una prova di cui sicuramente si parlerà ancora fra anni. Nel ruolo di Guillaume mi è invece sembrato non troppo a suo agio Nicola Alaimo: è sicuramente un bravissimo cantante, la parte da lui ricoperta è di una statura davvero elevata, e per affrontarla ci vuole un gigante. Alaimo non è riuscito a entusiasmare, e anzi in alcuni passi si notava una certa fatica nel registro grave. Per quante elucubrazioni possano fare i vari vociomani, sono dell’idea che sia più difficile trovare un buon Guillaume che un ottimo Arnold. Sono invece rimasto piacevolmente colpito dalla Mathilde di Marina Rebeka, dotata di uno splendido timbro adattissimo al canto legato nelle zone medio-acute. Quando la tessitura scendeva la Rebeka si scopriva un po’ più in difficoltà, ma grazie a una buona tecnica ovviava anche a questo problemino. L’interprete non è ancora maturissima, in certi passaggi è quasi fredda, ma in certi altri colpiscono i pianissimi efficaci e le smorzature mai forzate. Al di fuori del trio di protagonisti merita una citazione speciale Amanda Forsythe, impegnata in Jemmy, che in questa versione integrale dell’opera si trova spesso a dover gestire una vocalità impervia, con saliscendi nervosi. La Forsythe, nonostante un volume tutt’altro che imponente, viene bene a capo di queste parte. Eccellente Simone Alberghini, un vero e proprio lusso come Melchtal, il quale compare solamente nel primo atto, e un lusso anche l’Edwige di Veronica Simeoni. A Simon Orfila, Walter, va il merito di aver reso indimenticabile con Florez e Alaimo (qui al vertice della sua serata assieme al potente finale del terzo atto e allo splendido duetto con Arnold del primo atto) il terzetto “Quand l’Helvetie est un champ de supplices”; Luca Tittoto è stato un Gesler ottimo anche nella recitazione.
    Ma uno dei punti di forza di questo Tell è stato il direttore Michele Mariotti: io sarei veramente contento se la si finisse di fare illazioni sulla sua parentela (stretta: è il figlio) col sovrintendente del Rof. Mariotti è il migliore fra i giovani direttori italiani, e nonostante l’età non si tratta più di una promessa ma di una consolidata realtà. La maturità della sua lettura è impressionante, specialmente per la varietà caleidoscopica con cui colora la meravigliosa Orchestra del Teatro Comunale di Bologna: ciò che colpisce è l’attenzione per il dettaglio, il cesello raffinatissimo, da cui fiorisce la monumentale struttura generale dell’opera. Mariotti avvolge il suo Guillaume Tell in un’aura lucente, si respira la natura svizzera, ma anche le inquiete vibrazioni dei personaggi, i balletti sono un capolavoro osservato al microscopio. Il finale cresce sempre di più, sempre di più, e sfocia in un tripudio cosmico che è probabilmente la cosa più emozionante che abbia mai sentito in teatro. Menzione d’onore per il Coro del Comunale di Bologna, impegnato con successo in pagine splendide e difficilissime.
    Al termine entusiasmo incandescente per tutti, escluso Vick. Che la sua lettura abbia dato fastidio al pubblico così poco “rivoluzionario” della prima? Sicuramente chi ama il teatro vero non è stato deluso, perché Vick sa coniugare perfezione formale e profondità concettuale. La giusta moneta con cui ripagare un’opera che ci offre una musica di sublime fattura.

    Michele Donati

  2. Il capolavoro di Gioacchino Rossini ha aperto la stagione sinfonica di Santa Cecilia
    Un Guillaume Tell poco coinvolgente
    Con la direzione di Antonio Pappano. Ottima prova del Coro diretto da Ciro Visco

    L’ Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha inaugurato la Stagione Sinfonica 2010-2011 con una esecuzione in forma di concerto del capolavoro di Gioacchino Rossini, Guillaume Tell, riproponendo una esecuzione che già aveva fatto parlare di se nel 2007, anche questa volta affidata alle cure di Antonio Pappano, il Direttore Musicale dell’Orchestra ceciliana.

    I motivi ci questa riproposta sono dovuti al fatto che il capolavoro rossiniano è destinato ad essere inciso e, quindi, le recite programmate presso la Sala Santa Cecilia sono registrate per essere poi inserite sui cd che andranno in commercio. Quella delle incisioni è un’attività che sta dando enormi soddisfazioni all’Accademia Nazionale di Santa Santa Cecilia e ad Antonio Pappano che hanno visto pluripremiate molte delle loro pubblicazioni a dimostrazione della validità dei contenuti artistici di queste incisioni.

    Anche questa volta, come tre anni fa, il pubblico ha risposto alla grande gremendo, al limite della capienza, la Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco Musica per tutte è tre le recite previste del concerto.

    Per quanto riguarda l’esecuzione che abbiamo ascoltato, però, dobbiamo dire che rispetto ad essa nutriamo sempre delle perplessità che i tre anni passati non hanno sanato. Ciò che non ci convince è l’interpretazione che Pappano ci ha dato del capolavoro rossiniano. Nonostante abbia fornito, tecnicamente, una prova del tutto soddisfacente, la sua visione ci lascia un po’ freddi, mancando in essa quella visione romantica che a nostro giudizio il Tell possiede, al di la della perfezione strumentale e musicale.

    E’ noto a tutti che Rossini con il Guillaume Tell, andato in scena il 3 agosto 1829 presso il Théatre de l’Accademie Royale de Musique di Parigi, scrisse un’opera, per quell’epoca, rivoluzionaria, che guardava molto in avanti, ponendo le basi di quello che sarà la straordinaria stagione romantica dell’opera lirica, che troverà in Donizetti e Verdi i maggiori esponenti di questo genere di teatro.

    Nel Tell ci sono pagine di grande presa drammatica; tra queste una delle più belle è quella che conclude il secondo atto, quando gli abitanti di tre cantoni Unterwald, Schwitz e Uri decidono di consorziarsi ‘contre ce joug infame’, quel giogo con il quale il tiranno Gessler sottometteva tutti gli abitanti di quelle valli. E’ una pagina, questa, di straordinaria drammaticità , la cui musica ci porta, con un magistrale intensificarsi degli eventi, dalla pace dei boschi alla progressiva entrata dei valligiani che pervengono dalle rispettive vallate al giuramento finale.

    Un brano di grande effetto, il cui spirito sarà ripreso spesso in seguito (Ernani, Ballo in Maschera per esempio) dal carattere estremamente eroico e trascinante, di quelle cose che scaldano ed entusiasmano il pubblico. Nell’esecuzione ceciliana tali caratteri non erano, a nostro giudizio, messi bene in evidenza da una lettura che ci è sembrata un po’ fredda ed estranea allo sviluppo drammatico.

    Lo stesso effetto ci ha fatto il grandioso finale dell’opera, concepito da Rossini come esaltazione della libertà raggiunta, quindi appassionato ed appassionante. ‘Et que ton rècommence! Libertè, redescends des cieux!’ esclamano gioiosamente tutti i personaggi a seguito della morte del tiranno e della riconquistata libertà. Questo fremito, questa esaltazione non erano messe ben in risalto dall’esecuzione.

    Altro elemento discutibile di questa esecuzione sono stati i tagli imposti alla partitura, tra i più vistosi la quasi totalità dei balleti (è sopravvissuto solo il Pas de Six del primo atto) ed il terzetto e la preghiera del quarto atto. Sono tagli che, a nostro giudizio, compromettono la drammaturgia. I balletti (che saranno poi eseguiti in un altro concerto per confluire poi sull’edizione pubblicata in cd) erano a Parigi, all’epoca della composizione del Tell, una sorta di imposizione, un pedaggio da pagare per potersi mettere in mostra presso quel pubblico.

    Rossini, da grande musicista e drammaturgo, compose una musica di straordinaria fattura che ben si introduceva nella drammaturgia. Infatti, nel terzo atto, i balletti assolvono ad una funzione di contrasto tra la festa campestre ed i momenti drammatici che vedono Guillaume Tell sfidare la tirannia. La leggerezza e la giocosità dei ballabili contrastano in maniera determinate con la drammaticità della conclusione del terzo.

    Anche il terzetto e la preghiera del quarto atto assolvono ad una funzione scenica, quella di Jemmy che, su ordine del padre, brucia la casa, per fornire la guida necessaria a Tell per ritrovare la sponda dopo la traversata sul lago in tempesta, attutendo, anche in questo caso, la tensione e la teatralità.

    Quello che un po’ ci dispiace è sapere, come è stato riferito nella conferenza di presentazione dell’avvenimento, che tali espunzioni sono state praticate anche per ‘allegerire’ la straordinaria durata dell’opera di Rossini dimenticando, però, che il pubblico di Santa Cecilia, gode della tradizione più che centenaria dei concerti dell’Accademia, che in tutti questi anni ha plasmato uno dei pubblici più preparati e competenti d’Italia, in grado di apprezzare i grandi capolavori della Storia della Musica.

    Antonio Pappano, assieme all’ Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, hanno, comunque, fornito una prova più che convincente confermando sempre di più la loro professionalità e la straordinaria musicalità di tutti i componenti soprattutto delle prime parti che la rendono compagine di grande risalto internazionale i cui risultati sono stati ottenuti grazie alle doti musicali di Antonio Pappano ed i premi discografici, di cui parlavamo prima, ne sono la ‘prova provata’.

    Prima di riferire degli interpreti vogliamo citare quello che forse è il personaggio di spicco del Tell: il Coro. Abbiamo ascoltato una prova di grande spessore. Da anni non sentivamo una compagine corale così ben amalgamata, dove venivano messi ben i risalto i ‘piano’ con emissioni dolci e misurate ma anche i ‘forte’ con interventi vocali veementi e trascinanti. Per questa prova così convincente il merito va, senza dubbio, a Ciro Visco da poco nominato direttore del Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, musicista di grande esperienza che ha imposto un netto cambiamento di rotta per un futuro che immaginiamo luminoso.

    Per quanto riguarda i cantanti di grande rilievo è stato il tenore John Osborn, che ha superato agevolmente le difficoltà della parte di Arnold, vero e proprio mito della vocalità. Gerald Finley è stato un Guillaume corretto, mentre Malin Byström da dimostrato di soffrire un po’ la vocalità di Mathilde

    Io resto della compagnia è risultata piacevolmente omogenea : Elena Xanthoudakis (Jemmy), Matthew Rose (Walter) Marie-Nicole Lemieux (Edwige),:Celso Albelo, (Pécheur), Carlo Cigni (Gessler), Dawid Kimberg, (Leuthold), Frédéric Caton (Melchtal), Carlo Bosi (Rodolphe), Davide Malvestio (Chasseur).

    Al termine del concerto (ci riferiamo alla recita del 20 ottobre) lusinghiero successo personale per Antonio Pappano e per tutti gli altri intepreti, cantanti, orchestra e coro, sottolineato da scroscianti applausi del numeroso pubblico.

    Claudio Listanti
    claudio.listanti@voceditalia.it

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