Rai 1967
Regia Vittorio Cottafavi
Roldano Lupi, Esmeralda Ruspoli, Sarah Ferrati, Lia Angeleri, Orazio Orlando, Anna Maria Guarnieri, Anna Miserocchi, Enrico Maria Salerno
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Met 1983
Placido Domingo, Tatiana Troyanos, Jessye Norman, Allan Monk, Paul Plishka, Jocelyne Taillon, Douglas Ahlstedt, John Cheek
Conductor James Levine
Metropolitan Opera Orchestra
Chorus Metropolitan Opera Chorus
Chorus Master David Stivender
Regia Fabrizio Melano
Stage Designer Peter Wexler
Costume Designer Peter Wexler
Lightning Designer Gil Wechsler
TV Director Brian Large
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Met 2013
CONDUCTOR
Fabio Luisi
REGIA
Francesca Zambello
SET DESIGNER
Maria Bjørnson
COSTUME DESIGNER
Anita Yavich
LIGHTING DESIGNER
James F. Ingalls
CHOREOGRAPHER
Doug Varone
PART I
LA PRISE DE TROIE
in order of vocal appearance
Panthus, Trojan priest and friend of Aeneas
Richard Bernstein
Cassandra, Trojan prophetess, daughter of Priam
Deborah Voigt
Coroebus, Asian prince, engaged to Cassandra
Dwayne Croft
Aeneas, Trojan hero
Bryan Hymel
Helenus, Trojan priest, son of Priam
Eduardo Valdes
Ascanius, son of Aeneas
Julie Boulianne
Hecuba, Queen of Troy
Theodora Hanslowe
Priam, King of Troy
Julien Robbins
Ghost of Hector, a Trojan hero
David Crawford
Andromache, widow of Hector
Jacqueline Antaramian
Astyanax, son of Andromache and Hector
Connell C. Rapavy
PART II
LES TROYENS À CARTHAGE
in order of vocal appearance
Dido, Queen of Carthage
Susan Graham
Anna, sister of Dido
Karen Cargill
Iopas, poet at Dido’s court
Eric Cutler
Ascanius, son of Aeneas
Julie Boulianne
Panthus, Trojan priest and friend of Aeneas
Richard Bernstein
Narbal, Dido’s minister
Kwangchul Youn
Aeneas, leader of the Trojan expedition
Bryan Hymel
The god Mercury
Kwangchul Youn
Hylas, a Trojan sailor
Paul Appleby
First Trojan Soldier
Paul Corona
Second Trojan Soldier
James Courtney
Ghost of Priam
Julien Robbins
Ghost of Coroebus
Dwayne Croft
Ghost of Cassandra
Deborah Voight
Ghost of Hector
David Crawford
IN THE DANCE
Laocoön
Alex Springer
Royal Hunt Couple
Julia Burrer
Andrew Robinson
Dido’s Court Duet
Christine McMillan
Eric Otto
Regia David McVicar
Conductor Antonio Pappano
Bryan Hymel Haeneas
Eva-Maria Westbroek Dido
Anna Caterina Antonacci Cassandra
Royal Hopera House
Film Director Francois Rousillon
Ensemble di Micha van Hoecke
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Regia Vittorio Cottafavi
 Annamaria Guarnieri, Anna Miserocchi, Enrico Maria Salerno, Orazio Orlando, Piera Degli Esposti, Milena Vukotic
1966
LES TROYENS TRIONFANO ALLA SCALA DI MILANO
In un periodo in cui si parla di Europa, può far bene ritornare al passato, ricollegarsi a una radice comune. Per farlo, nulla è meglio di Le Troyens di Berlioz, andati in scena ad aprile al Teatro alla Scala di Milano: la vicenda di Enea, Cassandra, Priamo, di tutti i troiani, traccia un filo rosso fra la cultura greca e quella latina, le principali della classicità, e fondative della civiltà europea. Ancora oggi la tragedia della muta Andromaca e di Astianatte ci parla nel profondo, ci sono sempre Didoni che si innamorano dell’uomo sbagliato e Cassandre che portano il peso di una verità incompresa. La straordinarietà del classico è che a ogni epoca sa dire una cosa diversa, si rivela multiforme (polythropon), e non è un monolite immutabile, bensì la matrice variopinta della nostra epoca e di quelle precedenti.
Tratta da Virgilio, Les Troyens è il monumento che Berlioz ha eretto alla cultura classica, sua grandissima passione, tracciando un affresco della parte conclusiva della guerra di Troia (“La prise de Troie”, primi due atti) e del soggiorno a Cartagine di Enea presso la regina Didone (“Les Troyens à Carthage”, gli altri tre atti). A giganteggiare parallelamente a Enea, quasi heldentenor, sono le donne Cassandra e Didone: voci gravi, tragicissime, figure scolpite nell’immaginario ma non pietrificate: esse sono sofferenti, palpitanti, sincerissime. Accanto a loro, il Coro, massa protagonista che attraversa tutti i cinque atti: le troiane suicide con Cassandra, i cartaginesi piangenti Didone, popoli oppressi, sconfitti.
Mettere in scena un’opera del genere è uno sforzo fra i più notevoli che possa affrontare un teatro lirico, vista l’imponenza di tutte le componenti dello spettacolo, basti pensare alla quantità di cantanti necessaria. E’ un vero piacere poter scrivere che La Scala, in linea con la sua gloriosissima tradizione, non solo è stata all’altezza dell’impresa, ma anzi ha prodotto uno spettacolo che entra di diritto nella storia della lirica. Tutte le componenti hanno funzionato in perfetta sinergia. Partiamo dalla regia di David McVicar, che si è avvalso delle scene (mozzafiato) di Es Devlin e dei costumi (splendidi, fine ‘800) di Moritz Junge. McVicar è regista fra i migliori del genere operistico a livello mondiale, con un stile modernissimo che non stravolge la drammaturgia ma punta sulla recitazione, sul gesto curato nei minimi dettagli. I troiani sono vittime della Storia, che è Fato, Sopraffazione, e i suoi personaggi sono burattini immersi ora in tenebre (a Troia), ora in una luce orbante (a Cartagine). “Italie”: la predestinazione di Enea è una condanna che non salva nessuno, e l’eroe (eroe?) se ne renderà conto. McVicar sposa il gigantesco all’intimo: mentre incede tremendo il cavallo di ferraglia (immagine che, sono sicuro, resterà nella memoria del Teatro), Cassandra è agitata da convulsioni interiori, si contorce. Magistrale l’entrata in scena di un Priamo devastato dopo la morte di Ettore, magistrale il colloqui finale fra Enea e Didone, sdegnosa e innamoratissima. Impressionanti i finali delle due parti dello spettacolo, dove la tragedia privata si fonde con la tragedia collettiva.
Sublime la direzione di Sir Antonio Pappano, che levigava ogni nota con la cura di un orefice: la tensione raggiungeva picchi altissimi durante i monologhi di Cassandra, sospesi fra delirio visionario e consapevolezza, nei lunghi passaggi orchestrali (la marcia che accompagna l’ingresso di Ecuba e Priamo), era perfino commovente nel momento in cui Andromaca e Astianatte si aggirano silenziosi e dolenti sul palco, osservati da tutti, specialmente dall’occhio preveggente della sorella di Ettore. E come suonano sensuali i fiati durante la nuit d’ivresse di Didone, e come sono smaglianti gli archi nei festosi balletti (coreografie di Lynne Page).
La compagnia di canto era splendidamente assortita, a partire dall’inscalfibile Gregory Kunde: alle soglie dei sessant’anni il tenore americano si è inventato una seconda carriera, e grazie alla tecnica perfetta, allo scavo d’accento, rende ogni sua recita un evento imperdibile. Il suo Enea è eroico negli acuti, determinato, davvero “pius”, come ce lo tramanda Virgilio (e con lui Berlioz). Accanto a lui due donne fenomenali: Anna Caterina Antonacci, Cassandra, e Daniela Barcellona, Didone. La Antonacci, nerovestita e scalza, è un oracolo funereo, l’unica conscia della verità, dell’”arido vero” che distrugge lo sa. La voce della Antonacci non ha perso smalto, e le sue capacità di attrice è conclamata. Daniela Barcellona è tornata a livelli molto alti, con la sua solita consistenza cremosa nel timbro, tutti i registri perfettamente calibrati. La sua Didone non è mai ingenua, la decisione del suicidio è matura, come l’innamoramento che lo ha preceduto. Fra gli altri interpreti, eccellenti Alexandre Duhamel (Pantehée), Paola Gardi na, un Ascagne dai tratti cherubineschi, il Narbal di Giacomo Prestia. Sugli stessi ottimi livelli anche Shalva Mukeria (Iopas), Mario Luperi (Priam) e Deyan Vatchov (l’ombre d’Hector), mentre un gradino sotto Paolo Fanale (Hylas) e Maria Radner (Anna). Menzione speciale per Elena Zilio, una Ecuba ancora sonora negli assieme!
Al termine spettacolo entusiasta, con pubblico impazzito per i tre protagonisti e per il Maestro Pappano. Che è probabilmente il più importante direttore d’opera dei giorni nostri.
Michele Donati