Musei San Domenico

Posted by on February 23, 2024

Tra gli anni Quaranta dell’Ottocento e gli anni Venti del Novecento, l’arte storica italiana, dal Medioevo al Rinascimento, ha un forte impatto sulla cultura visiva britannica, in particolare sui Preraffaelliti. Questo movimento artistico, nato nell’Inghilterra vittoriana di metà Ottocento a opera di alcuni artisti ribelli – William Holman Hunt, John Everett Millais e Dante Gabriel

Tra gli anni Quaranta dell’Ottocento e gli anni Venti del Novecento, l’arte storica italiana, dal Medioevo al Rinascimento, ha un forte impatto sulla cultura visiva britannica, in particolare sui Preraffaelliti. Questo movimento artistico, nato nell’Inghilterra vittoriana di metà Ottocento a opera di alcuni artisti ribelli – William Holman Hunt, John Everett Millais e Dante Gabriel Rossetti – aveva lo scopo di rinnovare la pittura inglese, considerata in declino a causa delle norme eccessivamente formali e severe imposte dalla Royal Academy.

Dal 24 febbraio al 30 giugno 2024 la mostra Preraffaelliti. Rinascimento moderno – diretta da Gianfranco Brunelli e a cura di Elizabeth Prettejohn, Peter Trippi, Francesco Parisi e Cristina Acidini con la consulenza di Tim Barringer, Stephen Calloway, Charlotte Gere, Véronique Gerard Powell e Paola Refice – attraverso circa 300 opere tra dipinti, sculture, disegni, stampe, fotografie, mobili, ceramiche, opere in vetro e metallo, tessuti, medaglie, libri illustrati, manoscritti e gioielli racconterà questa storia affiancando per la prima volta, grazie ai generosi prestiti concessi dai musei europei – in particolare inglesi e italiani – e americani, una consistente rappresentanza di modelli italiani, tra cui opere di antichi maestri, alle opere britanniche; ma anche opere di artisti italiani di fine Ottocento ispirate ai precursori britannici.

Il Preraffaellismo – la cui data di inizio può essere fissata con certezza al 1848, ma la cui conclusione non è facile da individuare perché sfuma nei movimenti decadente e simbolista – non fu un ritorno reazionario agli stili del passato ma un progetto visionario capace sia di rendere le opere che ne nacquero qualcosa di decisamente moderno, sia di restituire forza e presenza alla tradizione italiana. I Preraffaelliti attinsero infatti a un’ampia gamma di influenze ed elementi storici, in momenti diversi si ispirarono all’arte e all’architettura gotica veneziana, a Cimabue, a Giotto, oltre che a maestri del Rinascimento, come Botticelli e Michelangelo, rivolgendosi infine con altrettanto entusiasmo all’arte veneziana del XVI secolo di Veronese e Tiziano.

Seguendo il corso di una produzione che si è snodata per vari decenni, Preraffelliti. Rinascimento Moderno si articola in sezioni che hanno come filo conduttore il concetto di re-invenzione nelle sue varie declinazioni. Esse sono documentate da opere di artisti britannici talvolta forse poco noti al grande pubblico, ma in grado di restituire con inedita chiarezza i tratti peculiari di questo passaggio storico.

La mostra, organizzata dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì in collaborazione con il Comune di Forlì, è accompagnata da un catalogo pubblicato da Dario Cimorelli Editore, con saggi e articoli dei curatori e contributi dei co-curatori ospiti.

Il percorso espositivo, curato nel suo allestimento dallo studio Lucchi & Biserni di Forlì, si articolerà all’interno della Chiesa di San Giacomo e delle grandi sale che costituirono la biblioteca del Convento di San Domenico.

L’ARTE DELLA MODA
Forlì, Musei San Domenico
4 marzo – 2 luglio 2023

PROGETTO SCIENTIFICO

La moda dipinta, ritratta, scolpita, realizzata dai grandi artisti. L’abito che modella, nasconde, dissimula e promette il corpo. L’abito come segno di potere, di ricchezza, di riconoscimento, di protesta. Come cifra distintiva di uno stato sociale o identificativa di una generazione. La moda come opera e
comportamento. L’arte come racconto e come sentimento del tempo.
La sintesi tra opera d’arte e moda l’ha ben definita Oscar Wilde: «O si è un’opera d’arte o la si indossa». Come in uno specchio, l’esposizione forlivese del 2023 mette a confronto la grande arte e la grande moda. Dal Re Sole alla Pop Art.
Dall’Ancien Régime al secondo Novecento.
Se il legame tra abito e ruolo sociale è proprio di tutte le civiltà organizzate, il principio di cambiamento costante della moda è l’effetto di un lungo processo storico e segna l’avvio della modernità. Mostrare i segni della ricchezza e del potere, far vedere ed essere visti: assume con l’Ancien Régime un significato programmatico e comunicativo. La moda si colloca al centro del potere e della sua comunicazione. Al centro della società e dei suoi segni simbolici. Essa oscilla tra innovazione e imitazione, orientamento al nuovo e immediata comunicabilità come qualcosa di socialmente approvato. Nel rinnovarsi deve comunicarsi, nel farlo si consuma.
Nel Settecento la moda diventa moderna e diffusa tra classi sociali diverse.
Come oggetto di consumo sempre più diffuso, modifica lentamente l’organizzazione della distribuzione, sempre più caratterizzata, soprattutto nelle città, da luoghi fissi. Nascono i negozi. E da essi, a metà del secolo successivo, i grandi magazzini e tutto il sistema di rappresentazione e di comunicazione dell’abbigliamento. Cambiano gli stili e cambiano i materiali. Si aprono nuove produzioni. La ricerca dei materiali rivoluziona il mondo produttivo e quello commerciale fino alle attuali soluzioni tecnologiche.
Ma è proprio la diffusione della moda che crea socialmente e culturalmente quella sua caratteristica bipolare che la caratterizzerà di lì in poi.
Si tratta di elementi qualificanti che nelle forme dello stile sottolineano continuamente il passaggio tra trasgressione e omologazione, rottura e consenso, lineare e sontuoso, policromo e monocromo, natura e artificio, organico e inorganico, superfice e profondità, differenza e identificazione, per riprendere alcune delle antinomie di Georg Simmel e di Walter Benjamin.
L’arte ne è lo specchio e l’ispirazione, l’espressione e la diffusione dei modelli. Spesso la creazione stessa. Dalla fine dell’Ottocento e per tutto il Novecento il rapporto si fa più intenso: artisti che disegnano abiti e gestiscono la comunicazione della moda, stilisti che collezionano opere d’arte e ne fanno oggetto di ispirazione o il simbolo della propria contemporaneità.
Il rapporto tra arte e moda va da quel momento incrementandosi in un gioco delle parti che porterà la moda stessa a diventare un’arte, uno sguardo sulle cose del mondo come la filosofia, la letteratura, il cinema, e a ispirarsi all’arte stessa, in rimandi che dal secondo Novecento fanno dell’intera storia dell’arte, oltre le corrispondenze temporali, la propria creativa, perenne contemporaneità.
Mai come nel Novecento le vicende della moda si sono identificate con i temi della politica, del cambiamento sociale, della cultura, assumendo, oltre il gusto e la funzione, il ruolo autonomo, espressivo di ideologie e sentimenti, movimenti e aspirazioni.
Non solo stile. Ma un più profondo processo generazionale che determina l’etica dei comportamenti. Un sistema strutturale che trasforma l’oggetto commerciale in parola, linguaggio, segno, simbolo. Il lusso dell’oggetto diviene lusso di parole, in un rapporto nuovo tra l’indumento-immagine e l’indumento-parola: nel Sistema della moda, Roland Barthes individua nel vestito, oltre le interpretazioni psicologiche, la sua funzione etica, cioè la capacità di produrre valori sociali che attestano il potere creativo della società su sé stessa.

Il mondo nuovo

Con Luigi XIV, lo sfarzo esibito attraverso il lusso dei vestiti esplicitò la propria funzione politica ed economica. La nobiltà costretta a Versailles fu spinta dal re all’esercizio del lusso (nessun abito poteva essere indossato due volte, se non con profonde modifiche), fino alle estreme conseguenze della rovina finanziaria e dell’insignificanza politica della corte, mentre lo stato, organizzando lo sfruttamento del lusso, favorì la crescita di finanziatori e fornitori: mercanti, artigiani, tessitori, sarti, fino alle marchandes de modes. «La moda è per la Francia ciò che le miniere d’oro del Perù sono per la Spagna»: aveva detto Jean Baptiste Colbert, ministro del Re Sole, celebrando l’importanza della moda francese già nel XVII secolo.
Alla metà del secolo XVIII, il modello più diffuso nell’abbigliamento femminile era noto come robe à la française: una sopravveste aperta che veniva indossata sopra un corpetto decorato e un vestito fissato al panier che ne sosteneva la gonna. L’abito era diviso al centro per formare un’apertura a forma di V che permetteva di mostrare sottogonne di colori contrastanti o identiche, creando così l’impressione di un’abbondanza di stoffe, mostrandone il tessuto pregio e i decori, le scarpe erano ricamate con tacco alla Luigi XV.
Più comodo e aderente il modello à l’anglaise, che a partire dagli anni settanta introduce nel guardaroba femminile alcuni elementi dell’abbigliamento maschile, in particolare la rielaborazione della redingote. La donna è protagonista di un romanzo sentimentale e della nuova sensibilità del sublime.
Aristocratiche e letterate si fanno ritrarre da George Romney, Thomas Gainsborough, Sir Joshua Reynolds, Lawrence, in atteggiamenti assolutamente informali e con abiti che inneggiano a una nuova libertà del corpo.
Alla rivoluzione dei consumi si collegano sia la ricerca dei materiali, sia le rotte commerciali. Alla lana e al lino si sostituiscono il cotone e la seta. Lo sviluppo della domanda avvia il processo della creazione di abiti pronti, dissocia i luoghi di produzione da quelli di vendita e crea il marchio di qualità, infine si sviluppano il marketing e la pubblicità. La moda diventa industria.
La vera rottura con il sistema ereditato dal passato avvenne negli anni ottanta del XVIII secolo. Nel 1783 fu esposto al Salon un ritratto di Maria Antonietta realizzato da Elisabeth Vigée-Lebrun in cui la regina indossava un abito bianco di mussolina dalla foggia semplicissima e i colori schiariti. È l’origine di quella che fu chiamata la chemise à la Reine. Maria Antonietta si sottrae allo sfarzo e privilegia uno stile di vita più naturale: igienico, comodo, giovane. Sarà Rose Bertin a foggiarne l’immagine. La sua modernità non le salverà la testa.
In generale i codici dell’abbigliamento non sopravvissero come tali alla Rivoluzione francese. E se il corteo degli Stati Generali fu l’ultima rappresentazione dell’Ancien Régime, il 5 maggio 1789, poiché prevedeva, nonostante le proteste del Terzo Stato, come dovessero essere vestiti gli esponenti di ciascun Stato, il 29 ottobre 1793 (8 brumaio del II anno), la
Convenzione decretò la libertà totale di abbigliamento, «secondo la volontà individuale». La Rivoluzione non stabilì regole, anche se a David fu dato l’incarico di disegnare il costume del rivoluzionario. Senza successo. Senza poter definire una propria uniforme, stabilendo una relazione forte tra il lusso e il superfluo, la Rivoluzione influenzò enormemente la nuova iconografia.
La grande rinuncia maschile all’elemento decorativo brillante e sfarzoso e al colore rielaborava il concetto di eleganza nella versione della rispettabilità e della produttività. L’uomo abbandonava la pretesa di essere bello e si accontenta di essere pratico.

Dal Direttorio all’Impero

Il Direttorio segnò un fondamentale momento di passaggio nella moda femminile. Le donne cominciarono ad indossare abiti diritti di mussolina bianca, senza sottostrutture, leggeri e trasparenti. In parte ricordavano la chemise à la Reine e ancor più le tuniche classiche. Ma tra le fonti di ispirazione svolse un ruolo fondamentale la pittura di storia. Il colore chiaro era una adesione al gusto neoclassico diffusosi con i ritrovamenti archeologici greco-romani. La terra restituiva statue che indossavano indumenti drappeggiati, dai quali trasparivano corpi perfetti. Il corpo così idealizzato, la semplice bellezza delle statue greche teorizzata da Winckelmann, diveniva un fatto culturale e sociale.
Il gusto Neoclassico determinò un profondo orientamento artistico, nonché lo stile e il gusto architettonico e decorativo. La linea dell’abito femminile era ispirata alla giovinezza danzante dell’Ebe canoviana, con la leggerezza delle vesti che scoprono braccia e spalle: anche d’inverno l’uso dei soprabiti sarà inviso, avviando la moda degli scialli, grazie anche al cachemire portato da Napoleone dopo la campagna d’Egitto e ancor più importato dalla Compagnia delle Indie inglese. Tuniche e pepli con un punto vita molto alto, immediatamente posto sotto un seno finalmente libero e visibile, rendeva il corpo fluido e libero.
Dopo il 18 brumaio (VIII anno), Napoleone Primo Console utilizzò moda e mondanità per dare vita a una nuova classe dirigente, cercando di integrare la società dei nuovi ricchi con la nobiltà che aveva accolto il cambiamento, favorendo una generale operazione di restyling di alcune delle passate abitudini.
Protagonista di questo processo che mirava a creare un nuovo protocollo mondano fu soprattutto Joséphine de Beauharnais. Ma figure come Madame de Staël non furono meno influenti. Il revival neoclassico continuava ad essere il modello di base, progressivamente arricchito.
L’affermazione della moda borghese Poco dopo, la Restaurazione dei regimi monarchici imposta a Vienna comporterà per tutta l’età romantica una oscillazione del gusto.
L’Italia è ancora dipendente dalla moda francese, per cui si fanno arrivare i figurini da Parigi, decorati dal milanese Corriere delle dame. A questi abiti straordinari corrispondono gli ammalianti ritratti di Hayez, Giuseppe Molteni ed Eliseo Sala. La diffusione del romanticismo nella moda è veicolata anche dal toscano Giuseppe Bezzuoli che con il celebre Ritratto della famiglia Antinori domina lo scenario del ritratto a Firenze. A Milano, gli abiti presenti nei ritratti di Hayez e Molteni creano essi stessi moda: la moda dipinta non è alle dipendenze della moda stessa ma del gusto dell’artista.
Una impronta storicista consentirà a Frederick Worth, il vero primo esponente della haute couture, a partire dagli anni Cinquanta e complice l’imperatrice Eugenia, moglie di Napoleone III, di tornare a pescare dal passato, rilanciando il lusso: i nuovi potenti d’Europa «volevano adornarsi con gli splendori del passato» per trarne una qualche legittimazione. I dipinti dei musei e delle gallerie entrano nel sistema della moda, contribuendo a creare il mito dell’eleganza di cui fu simbolo maschile Lord Brummel. Worth guarda al passato Rococò e ai suoi contemporanei, condivide con Moreau l’ornamento. Ma guarda anche all’altra linea artistica che tiene la seconda metà del secolo fino al Simbolismo: la generazione degli impressionisti e per l’Italia l’esperimento della
Macchia.
L’ossessione del livellamento aveva risvegliato il fascino del privilegio, l’arricchimento materiale aveva come disvelato un deficit simbolico che soprattutto la moda femminile e il ruolo della donna potevano contribuire a colmare. A partire dagli anni Trenta dell’Ottocento la transizione si era già compiuta. L’abbassamento del punto vita porta a fare assumere al corpo la forma di tre triangoli: la testa, il busto (più stretto col ritorno del corsetto), la gonna (vasta a disegnare un triangolo capovolto rispetto ai primi due).
Abbondanza di tessuti, eccesso di decori, rigidità delle forme descrivevano la nuova figura femminile, cui era concesso il ruolo sociale dell’eleganza e della capacità di spesa.
Sviluppatosi fortemente in età napoleonica, il commercio degli articoli di moda conosce una vera e propria esplosione con la creazione dei grandi magazzini. Il fenomeno sarà inizialmente soprattutto inglese e francese, per poi approdare in tutta Europa. Essi seguono e partecipano del rinnovamento
urbanistico e spesso sono collocati nei passages, si aprono sulla strada con vetrine, creando un legame espositivo tra esterno e interno; la scelta architettonica eclettica offrendo una diversa disposizione spaziale consentiva di intendere le nuove confezioni seriali, predisposte e mostrate, quale idea di una nuova libertà di scelta.
Fra i grandi magazzini dell’Ottocento ci sono nomi divenuti famosi, come Le Bon Marché (1838), La Samaritaine (1869), le Galeries Lafayette (1912), in Francia, mentre in Inghilterra: Harrods (1851) e Whiteleyes (1868). In Italia apre a Milano nel 1836 Aux villes d’Italie, ribattezzato da D’Annunzio nel 1918 La Rinascente.

Le confezioni di serie introducono un altro aspetto fondamentale: quello dei vestiti firmati. La cultura della griffe coniuga arte e business, design e consumo. I vestiti sono unici non più in sé stessi ma nel loro ruolo di comunicatori dello status sociale, del rango e dell’identità; si muovono assieme a chi li indossa nei diversi ambienti. Vestirsi corrisponde all’assunzione di una prospettiva personale riconoscibile sulla realtà, definisce una nuova soggettività, corrisponde ad una sorta di «io narrante», in una corrispondenza tra il soggetto sociale e l’oggetto indossato.
Il simbolismo Sarà il neo-manierismo di Pingat a rinnovare gli schemi e a condurre la moda dopo una ripresa neo-cinquecentesca a guardare alla contemporaneità. Ma occorre attendere Jacques Doucet per approdare al Simbolismo e alla sua arte dell’anima. Doucet chiuderà ogni riferimento allo storicismo dichiarando la fine dell’opacità spessa delle vesti e della loro rigidità, e aprendo a una nuova leggerezza.
Indimenticabili, lungo la stagione della Belle Époque, rimarranno nella memoria collettiva le donne sublimi di Boldini. Il ferrarese, dopo un periodo passato a Firenze all’ombra della Macchia, diventa, insieme a De Nittis, protagonista della scena parigina, grazie alle sue immagini iconiche che nell’età della Belle Époque segnano la modernità. Attivo fino 1931, Boldini regna indiscusso sul gusto con i suoi ritratti di dame cilene e delle eroine del ciclo di Proust La recherche. Da Boldini a Corcos, da De Nittis a Degas, a Toulouse-Lautrec: sono questi gli artisti della moda e della dolce vita, prima della catastrofe della Grande Guerra.
Innumerevoli gli artisti e i movimenti. Dalle forme artificiali, eticizzate, alla natura naturans. Una svolta rivoluzionaria che riguarderà l’ultimo simbolismo e aprirà ad altri protagonisti: dalle Secessioni di Klimt, Hoffmann, Van de Velde, a D’Annunzio e a Biki. Donne diafane e fitomorfe, fluttuanti e vitalistiche, secondo le nuove inquietudini psicologiche e sociali di cui il mondo femminile è protagonista e simbolo.
Il grande interprete dei primi vent’anni del Novecento, accanto e in parallelo alle Avanguardie, sarà Paul Poiret. Con lui tutta la tavolozza dei colori accesi di Matisse e dei Fauves s’impone. E finisce per fornire all’Espressionismo le coordinate operative. Ridà forma al corpo con una liquidità più densa che sfiora le linee della silhouette a favore del movimento. La figura si fa movimento, il corpo si trasforma continuamente.

Dalle Avanguardie al Made in Italy

Nel folto gruppo delle avanguardie, i Futuristi si rivolsero con la serie dei loro manifesti, a partire dal 1909 ad ogni aspetto della vita. Moda compresa. E con Il vestito antineutrale (11 settembre del 1914), scandivano il rapporto moda e politica, optando per l’interventismo italiano nella guerra. I miti futuristi erano la metropoli, la macchina, la luce elettrica, gli aerei, il cinema; i rumori delle nuove tecniche erano la nuova estetica, l’arte del presente, la nuova bellezza.
Saranno soprattutto Balla e Depero a dare impulso alla moda futurista. Balla in particolare realizzò abiti in cui forme geometriche e ritmi cromatici suggerivano effetti dinamici.
Il vero interprete dell’abbigliamento degli anni Venti fu Mariano Fortuny.
Egli rinnovò il modello del chitone e lo tradusse in una tunica, il “Delphos”, secondo l’equazione corpo/donna/movimento/bellezza. Il primo decennio del Novecento vide nascere in Italia un’altra forma di ricerca artistica, che affermò sé stessa in radicale opposizione al modello culturale borghese. A Fortuny si aggiungeranno le indimenticabili creazioni di Maria Monaci Gallenga, Rosa Genoni che riprendono citazioni raffinate dall’arte del Trecento e del Quattrocento.
L’ultima parte della mostra sarà concentrata sugli anni ruggenti del ‘900, gli anni 20/30, caratterizzati da una moda almeno in Italia autarchica alle dipendenze di Parigi, ma i ritratti di Oppi o gli abiti di Edda Ciano Mussolini rimangono icone indimenticabili di quel tragico periodo. Ma quel periodo darà alla luce collaborazioni internazionali davvero innovative come quella tra Elsa Schiaparelli, Salvador Dalì e il Surrealismo, e tra Thayaht e Madeleine Vionnet.
Accostamenti importati tra arte e moda riguardano anche le nuove generazioni. Dopo Coco Chanel, saranno Christian Dior, Yves Saint Laurent e Balenciaga a muoversi tra l’Informale e l’Espressionismo-astrattista.
La mostra vedrà la sua conclusione più logica nell’approfondimento della moda italiana che negli anni del secondo dopoguerra si affranca dai modelli del gusto francese. Si tratta di una moda dominata da Gucci, Ferragamo, Jole Veneziani, Germana Marucelli e dai grandi sarti stilisti presentati dal conte Giorgini in una celebre mostra nella sala bianca di Palazzo Pitti, evento che segna la nascita di un Made in Italy diffuso nel mondo con interpreti della grandezza di Gianni Versace, Valentino, Armani, Prada.
Lungo tutto il percorso della mostra, i ritratti degli artisti più celebri saranno in contrappunto agli abiti dell’epoca in alcuni casi ricostruiti sulla base di un’attenta documentazione, in altri prestati come i quadri dalle maggiori collezioni del mondo.

MADDALENA. IL MISTERO E L’IMMAGINE

La nuova grande mostra ai Musei San Domenico di Forlì

La Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì propone per il 2022 un nuovo appuntamento espositivo dedicato a un grande mito femminile della nostra storia, figura misteriosa e travisata: Maria Maddalena.
Dal 27 marzo al 10 luglio 2022, le sale dei Musei San Domenico ospitano Maddalena. Il mistero e l’immagine a cura di Cristina Acidini, Fernando Mazzocca e Paola Refice, dove circa 200 opere di grandi artisti dal III sec. a.C. al Novecento indagano il mistero irrisolto di una donna che ancora oggi inquieta e affascina.
Chi era davvero la Maddalena? Perché si è sviluppata quella confusa, affascinante sequenza di rappresentazioni che hanno portato alla costruzione della sua sfaccettata identità? A lei la Letteratura e il Cinema hanno dedicato centinaia di opere ed eventi, così come l’Arte, ponendola al centro della propria produzione, ha dato vita a capolavori che hanno segnato, nel corso dei secoli, la storia stessa dell’arte e i suoi sviluppi.
La sua fortuna artistica, a partire dal Medioevo fino ad arrivare a noi, si è andata arricchendo di elementi leggendari, mutuati anche dallo sviluppo della devozione nei suoi confronti. Ella è stata così volta a volta, peccatrice, santa, cortigiana e penitente, intellettuale e apostola.
Sempre amante. A fianco di San Francesco nella riforma mendicante del Duecento e Trecento, dama cortese nel Quattrocento, e venere cristiana a partire dal Cinquecento e lungo i secoli successivi, fino a simboleggiare la rivoluzione femminile nell’Ottocento e nel Novecento. Il “secolo breve” la vede anche come emblema del dolore e della protesta.
Il percorso espositivo di Maddalena. Il mistero e l’immagine si sviluppa in 12 sezioni che comprendono straordinari esempi di pittura, scultura, miniature, arazzi, argenti e opere grafiche, dal Cratere apulo con morte di Meleagro (360-340 a.C. ca.) del Museo Archeologico di Napoli a La deposizione dalla croce (1968-1976) di Marc Chagall del Centre Pompidou di Parigi; dal Noli me Tangere del Veronese proveniente dal Musée de Grenoble a quello di Graham Vivian Sutherland della Pallant House Gallery di Chichester. Tra le opere in mostra anche Acceptance di Bill Viola e alcuni capolavori di Antonio Canova e Francesco Hayez che più volte si dedicarono a questo soggetto.
La mostra attraversa millenni di fascinazione per la figura della Maddalena e la sua trasformazione nel corso dei secoli grazie alle interpretazioni che ne diedero i più importanti artisti di ogni epoca, che ne aggiornarono la leggenda e le sue letture. Tra le opere in mostra ricordiamo quelle di Donatello, Andrea Della Robbia, Giovanni Bellini, Tiziano Vecellio, il Tintoretto, Annibale Carracci, Lorenzo Lippi, Guercino, Artemisia Gentileschi, Guido Reni, Anthon Raphael Mengs, Jòzef Wall, Eugène Delacroix, Arnold Böcklin, Gaetano Previati, Fausto Melotti, Giorgio De Chirico e Renato Guttuso, solo per citarne alcuni.
Nel percorso di mostra, inoltre, entra per la prima volta, in piena coerenza con il tema dell’esposizione, un’ala al primo piano della pinacoteca civica, nella quale è possibile ammirare due magnifici arazzi cinquecenteschi, rari esemplari di manifattura fiamminga.

Maddalena. Il mistero e l’immagine disegna anche un viaggio trasversale attraverso la mappa dei prestiti, che comprende, tra gli altri, il Museo d’Orsay di Parigi, l’Hamburger Kunsthalle di Amburgo, il Musée des Beaux Arts di Nantes, il Centraal Museum di Utrecht, il Rijksmuseum di Amsterdam, l’Alte Kunst Gallery di Vienna, il Bayerische Staatsgemäldesammlungen – Neue Pinakothek di Monaco, The San Diego Museum of Art, il Sursock Palace di Beirut.
A questi si affiancano i prestigiosi prestatori italiani, come la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea e la Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini di Roma, la Galleria d’ Arte Moderna e Pinacoteca Ambrosiana di Milano, l’Accademia di Belle Arti di Bologna, le Gallerie dell’Accademia di Venezia, le Gallerie degli Uffizi di Firenze, il Museo e Real Bosco di Capodimonte di Napoli e i Musei Vaticani.
Ideata e realizzata da Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì in collaborazione con il Comune di Forlì e i Musei San Domenico, la mostra si avvale di un prestigioso comitato scientifico presieduto da Antonio Paolucci e della direzione generale di Gianfranco Brunelli. Il progetto espositivo, corredato da un pregevole catalogo edito da Silvana Editoriale, porta in Italia capolavori provenienti dalle più importanti istituzioni nazionali e internazionali.
Il direttore delle grandi mostre della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì, Gianfranco Brunelli: «Maddalena è il maggior mito femminile della storia dell’arte. La venere cristiana. La nostra esposizione racconta come la nostra storia, la nostra cultura occidentale, attraverso i maggiori capolavori dell’arte, abbia catturato l’antica discepola di Gesù e ne abbia fatto in ogni tempo il proprio emblema. In fondo ciascun tempo si è identificato
in lei. Siamo Maddalena».
In riferimento alla figura della Maddalena, la curatrice, Cristina Acidini riferisce che «È la peccatrice pentita dai lunghi capelli e dalle belle vesti, panneggiata di rosso. È la pia donna dolente. È la premurosa mirofora, simbolo della cura per il corpo amato in vita e in morte. è la penitente votata alla meditazione. Nella sua solitaria maestà, ella impersona davvero la patrona di tutte le numerose istituzioni, ecclesiastiche e civili, che in Europa s’erano venute costituendo in suo nome per l’accoglienza a donne traviate, sia redente sia da redimere».
In riferimento all’età moderna, il curatore, Fernando Mazzocca precisa che «Dopo Batoni e Mengs, sarà Canova ad impadronirsi di questo tradizionale e seducente soggetto pittorico per dimostrare, in una esaltante sfida tra la pittura e la scultura, le possibilità di quest’ultima di estendere i propri confini espressivi e riuscire a rendere effetti cromatici e luminosi che gli sembravano preclusi. La Maddalena di Canova, vera e propria opera di culto in epoca romantica, ha avuto una enorme popolarità e ha suggestionato molti pittori e scultori.
Sul modello canoviano sarà con Hayez che il soggetto della Maddalena riprende un nuovo slancio entrando in una dimensione assolutamente profana, quale emblema di una femminilità moderna e provocante, che non aveva timore di esibirsi in tutta la sua carica erotica, ma anche sentimentale legata al motivo romantico della meditazione e della malinconia».
Paola Refice, curatrice della mostra, sottolinea come la «Maria di Magdala – la Maddalena – è tra le figure più rappresentate nella storia dell’arte. Giovanni (20, 11-18), ripreso dall’esegesi dei Padri della Chiesa, la testimonia unica protagonista della scoperta della Resurrezione e del suo annuncio agli apostoli. Eppure le molteplici iconografie che ne personificano il nome rispecchiano una tradizione complessa e contraddittoria. I Vangeli la citano in Galilea, tra le donne al seguito di Gesù e ancora sul Calvario e poi alla tomba vuota del Risorto, insieme a Maria, madre di Giacomo, e a Maria Salome. Con le Pie donne compare nelle prime rappresentazioni dell’arte cristiana. Ma l’iconografia non si modella sulle fonti primarie quanto, e soprattutto, è dalla miriade di testi canonici e apocrifi che nasce e si diffonde in Oriente e in Occidente. Nel frattempo, con un impulso ancor maggiore, si forma dalle stesse immagini, che si diffondono, perpetuano sé stesse e danno il via a un’infinità di varianti».
Il progetto di allestimento Il percorso espositivo si sviluppa dall’ex Chiesa del San Giacomo fino alle grandi sale del primo piano che costituirono la biblioteca del Convento di San Domenico. Il registro del progetto di allestimento, sviluppato dallo Studio Lucchi & Biserni, si sussegue nei diversi spazi con soluzioni espositive spettacolari, che hanno il pregio di valorizzare al meglio le opere esposte, mantenendo quell’atmosfera contemplativa consona al tema trattato dalla mostra. Ne è un esempio straordinario il concetto espositivo, poi tradotto in una realizzazione vera e propria nell’ambito dell’allestimento, che accoglie il complesso monumentale quattrocentesco in terracotta di Guido Mazzoni.
A completamento del progetto di allestimento, con l’obiettivo di creare una uniformità cromatica che accompagni il visitatore nel percorso espositivo, interviene anche la scelta del colore, l’ottanio, simbolo di eleganza e raffinatezza, che restituisce prepotentemente i mille volti della Maddalena che si susseguono in mostra.

Il progetto con i Musei Diocesani italiani Questa mostra, per la prima volta, collega a sé oltre 60 musei diocesani di arte sacra a livello nazionale. Ogni museo aprirà le proprie porte ai visitatori, mettendo in evidenza espositiva al proprio interno opere che illustrano la figura della Maddalena; tutti collegati, grazie anche all’intesa con l’Associazione musei ecclesiastici italiani (AMEI) e con la Conferenza episcopale italiana. In Italia i luoghi di culto, più o meno noti, dedicati alla figura della Maddalena, sono circa 1188, secondo quanto censito dalla piattaforma BeWeB – Beni ecclesiastici in web. Una ripresa e un rilancio della figura della Maddalena in un paese, l’Italia, che assieme alla Francia, ha fatto della Maddalena anche un’icona devozionale. Arte, devozione, leggenda si fondono in una figura che è all’origine della fede cristiana.
Mediafriends, arte e solidarietà L’arte crea la vita. Si conferma la preziosa collaborazione tra la Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì e Mediafriends, l’Associazione Onlus di Mediaset, Mondadori e Medusa, nel segno di arte e solidarietà. Una collaborazione consolidata, che ha consentito di finanziare in sei anni quindici progetti dislocati sul territorio nazionale, compresa la città di Forlì, ed in aree e realtà complesse del terzo mondo.
Grazie alla cooperazione della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì, una parte del biglietto di ingresso alla mostra verrà devoluto per sostenere il progetto “ComHousing” di Fondazione Arché. Il progetto rivolto a donne in difficoltà e ai loro bambini, comprende anche il soccorso ai profughi ucraini che scappano dalla guerra, per aiutarli a costruire una vita migliore. Un percorso che inizia proprio con l’accoglienza in luoghi protetti dove aprire il dialogo e ritrovare la fiducia nel futuro.

Gli obiettivi del progetto “ComHousing” sono: 1) migliorare e valorizzare il servizio di comunità e di accoglienza mamma-bambino; 2) trovare nuovi modelli educativi pedagogici grazie al lavoro in rete con la Cooperativa Sociale Paolo Babini di Forlì.
La Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì ringrazia gli altri soggetti privati partner dell’iniziativa: Elfi, Gioielleria Ricci, IMA e Mapei.

La mostra e le associazioni del territorio Grazie all’apposito bando dedicato da Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì alle associazioni culturali e alle scuole del territorio, saranno più di 60 le iniziative che andranno ad arricchire e approfondire la proposta culturale di Maddalena. Il mistero e l’immagine.
Anche quest’anno vengono coinvolte tutte le discipline artistiche, dalla musica classica e contemporanea, al cinema – con diversi film dedicati alla storia sacra – dagli incontri e le letture letterarie, al teatro con rappresentazioni sacre medievali e testi contemporanei, passando anche per le arti figurative con mostre di pittura e di fotografia nei diversi comuni del comprensorio. Cinque i progetti curati dalle scuole forlivesi, da quella primaria a quella secondaria di secondo grado. Il programma, in via di ultima definizione, sarà disponibile sul sito della mostra e su quello della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì.

Maddalena & Digital Experience

In occasione della mostra Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì e Jump, azienda creativa digitale, hanno ideato un’applicazione per rendere la mostra Maddalena. Il mistero e l’immagine un’esperienza unica, indimenticabile ed interattiva, “dando vita” ai capolavori esposti. Grazie all’app MaddalenaAR sarà possibile, grazie alla realtà aumentata, animare alcuni quadri in mostra: basterà inquadrare le opere contrassegnate dall’apposito simbolo con la fotocamera del cellulare per godere della potenza dell’arte
attraverso la magia del digitale.

Speciale Sky Arte

Anche Sky Arte sarà nuovamente partner della mostra dedicando alla figura della Maddalena il consueto speciale televisivo, prodotto da EGE Produzioni, che andrà in onda in prima visione il prossimo 3 maggio in prima serata e in ulteriori 20 repliche in diverse fasce orarie per tutta la durata della mostra.
La Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì ringrazia gli altri soggetti privati partner dell’iniziativa: Elfi e Mapei.

I partner

La mostra Maddalena. Il mistero e l’immagine è stata realizzata grazie al contributo di importanti realtà in ambito territoriale e nazionale.
Un ringraziamento particolare va – per il generoso supporto – a Intesa Sanpaolo, main partner dell’esposizione, che dello sviluppo dei territori in cui opera ha sempre fatto un tratto caratterizzante. Un sodalizio che si conferma, anche per questa edizione, essenziale per il sostegno alla cultura e, più in generale, allo sviluppo delle comunità locali, grazie al convinto sostegno di progetti dalle elevate ricadute sociali e turistico-culturali.
Un sentito ringraziamento va inoltre ai partner della mostra quali Gioielleria Ricci, Elfi, Hera, Ima, Mapei, Bandini e Casamenti, Unieuro, Destinazione Romagna e Apt Servizi.

Le grandi esposizioni forlivesi che hanno visto, a partire dal 2006, eventi come Marco Palmezzano. Il Rinascimento nelle Romagne (2005-2006); Silvestro Lega. I Macchiaioli e il Quattrocento (2007); Guido Cagnacci. Protagonista del Seicento tra Caravaggio e Reni (2008); Antonio Canova. L’ideale classico tra scultura e pittura (2009); Fiori. Natura e simbolo dal Seicento a Van Gogh (2010); Melozzo da Forlì. L’umana bellezza tra Piero della Francesca e Raffaello (2011); Wildt. L’anima e le forme da Michelangelo a Klimt (2012); Novecento. Arte e vita in Italia tra le due guerre (2013); Liberty. Uno stile per l’Italia Moderna (2014); Boldini.
Lo spettacolo della modernità (2015); Piero della Francesca. Indagine su un mito (2016); Art Déco. Gli anni ruggenti in Italia (2017); L’Eterno e il Tempo tra Michelangelo e Caravaggio (2018), Ottocento. L’arte dell’Italia tra Hayez e Segantini (2019); Ulisse. L’arte e il mito (2020), Dante. La visione dell’arte (2021) hanno portato 1.500.000 visitatori e un riconoscimento scientifico internazionale.
Le mostre L’Eterno e il Tempo tra Michelangelo e Caravaggio e Ulisse. L’arte e il mito hanno vinto l’oscar del Global Fine Art Awards rispettivamente nelle categorie Best Renaissance,
Baroque, Old Masters, Dynasties – Group or Theme (5° edizione del premio, 2019) e Best Ancient (7° edizione del premio, 2021).

Il blocco delle opere dalla Russia diviene occasione di riflessione all’interno della mostra sulla “Maddalena”

Il divieto di prestito delle opere appartenenti ai Musei della Russia, ovvero il ritiro di quelle già prestate o promesse, giunge ad interessare, anche se in minima parte, la grande mostra sulla “Maddalena. Il mistero e l’immagine” che si appresta ad inaugurare a fine mese. Il blocco imposto dal governo russo, a dispetto dei profondi rapporti d’amicizia e collaborazione tra la Fondazione di Forlì, i Musei san Domenico ed il Museo dell’Ermitage, impedirà infatti l’esposizione di quattro opere di grandi maestri come Canova e Domenichino, ma questo non inciderà comunque sulla coerenza del percorso espositivo e sulla completezza dell’illustrazione della complessità della figura della Maddalena.
Pur nell’amarezza dell’interruzione temporanea della collaborazione con l’Ermitage – che si confida la più breve possibile – la direzione artistica della mostra ha voluto cogliere questa dolorosa circostanza per stimolare nel pubblico una riflessione sull’incidenza che il dramma della guerra ha anche sulla tutela e la circolazione dei beni culturali e sulla diffusione della cultura che da questi beni è assicurata.
Le 4 opere che non potranno, almeno per ora, essere esposte sono state sostituite da altrettanti capolavori, Canova compreso. Le opere di San Pietroburgo troveranno comunque spazio nel catalogo con l’indicazione della loro assenza dal percorso espositivo a causa del conflitto in corso in Ucraina e all’interno del percorso espositivo la Maddalena del Canova dell’Ermitage sarà comunque presente attraverso il suo originale in gesso proveniente dall’Accademia di Belle Arti di Bologna, testimonianza al contempo delle profonde relazioni culturali tra Italia e Russia e della fragilità di quel bene culturale che è la memoria artistica condivisa.

Il blocco delle opere dalla Russia

La decisione scellerata di Putin e del suo regime, non del popolo russo, di dichiarare guerra e invadere un paese libero e indipendente, qual è l’Ucraina, non viola solo il diritto internazionale, mentre sta facendo scorrere – come ha detto papa Francesco “fiumi di sangue e di lacrime, ma rischia di trascinare anche la cultura in un conflitto inutile, chiudendo anche l’ultima porta del dialogo”.
Occorre evitare questa deriva ulteriormente disumanizzante. La cultura è la radice identitaria di ciascuno di noi, dei nostri paesi, la cultura è la forma della dignità e della civiltà di un popolo; la collaborazione culturale, il dialogo culturale rappresentano il terreno di crescita della libertà e dello sviluppo delle civiltà.
Con l’Ermitage di San Pietroburgo collaboriamo come Fondazione e come città di Forlì da anni. Quasi ogni nostra mostra ha visto la loro prestigiosa presenza.
Per la mostra dedicata a Canova, l’Ermitage prestò 13 capolavori. Per la mostra sulla Maddalena dovevano arrivare 4 opere (Domenichino, Canova, Lefebvre, Pietro da Cortona). Avevamo restaurato la Maddalena di Canova per questa occasione, che cade nel bicentenario della morte di Canova. Noi sappiamo che l’Ermitage ha subito questa decisione.
Comprendiamo il peso che ha anche per loro questa imposizione. Noi siamo amici dell’Ermitage e delle persone che lo animano.
Il danno non è tanto per la nostra mostra. In pochi giorni abbiamo già provveduto a sostituire quei capolavori con altri, Canova compreso. La mostra aprirà regolarmente con oltre 200 capolavori.
Il danno è più generale e più profondo. Riguarda l’Europa e il mondo intero. Riaprire la porta della cultura significa tenere aperte quelle dello spirito e della dignità umana.

Gianfranco Brunelli

UN “GIRONE” LUNGO TRECENTO CAPOLAVORI
PER RACCONTARE IL MITO DI DANTE NELLA STORIA
LA CITTÀ DI FORLÌ
E LE GALLERIE DEGLI UFFIZI
INSIEME PER LA MAXIMOSTRA DEL SETTECENTENARIO
DALLA MORTE DEL SOMMO POETA

Dante. La visione dell’arte, grande esposizione sulla figura del Sommo Poeta, è allestita nei Musei San Domenico e sarà aperta al pubblico dal 30 aprile all’11 luglio.
Un percorso espositivo ricchissimo, in un arco temporale che va dal Duecento al Novecento, con l’obiettivo di presentare le molteplici traduzioni figurative della potenza visionaria di Dante. Per qualche mese Forlì si trasforma in una pinacoteca dantesca.

Lo scambio di due capolavori di Beato Angelico fra il Museo di San Marco a Firenze e la Pinacoteca dei Musei civici di Forlì, in occasione della grande mostra “Dante. La visione dell’arte”

Il prestito del Giudizio Finale del Beato Angelico (Vicchio del Mugello, c. 1395 – Roma, 1455) per la grande mostra “Dante. La visione dell’arte” in programma al Museo civico di San Domenico a Forlì, ha favorito un accordo di collaborazione tra la Direzione regionale Musei della Toscana, il Museo di San Marco a Firenze da un lato, la Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì e il Servizio Cultura Turismo e Legalità del Comune di Forlì dall’altro. L’intesa è stata approvata e sostenuta dal Direttore delle Gallerie degli Uffizi, Eike Schmidt, che insieme a Gianfranco Brunelli – Direttore delle grandi mostre della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì – ha ideato e diretto la mostra, curata da Antonio Paolucci e Fernando Mazzocca.

In base a tale accordo, per tutta la durata della mostra forlivese, si realizzerà lo scambio tra il capolavoro dipinto dal grande frate pittore domenicano per la chiesa del convento fiorentino camaldolese di Santa Maria degli Angeli a Firenze – conservato dall’epoca delle soppressioni presso il Museo di San Marco a Firenze – e il dittico con la Natività e l’Orazione nell’Orto, donato alla città di Forlì nella prima metà dell’Ottocento dall’abate Melchiorre Missirini (Forlì, 1773 – Firenze, 1849), grande erudito dai molteplici interessi, noto in particolare per essere stato a lungo segretario di Antonio Canova, ma soprattutto appassionato collezionista di volumi, dipinti, disegni, medaglie, bozzetti e sculture che lasciò alla natia città di Forlì tra il 1837 e il 1840.

Il capolavoro del Beato Angelico del Museo di San Marco è oggi in eccellenti condizioni di conservazione, dopo l’intervento di restauro condotto nel 2019 da
Lucia Biondi grazie al contributo del Rotary Firenze Certosa.
La sua assenza temporanea dalla Sala del Beato Angelico, completamente rinnovata di recente grazie alla generosità dei Friends of Florence, sarà compensata dall’inedita presenza del prezioso dittico di Forlì nel contesto dell’ambiente che rappresenta una sorta di santuario mondiale dell’arte del grandissimo artista domenicano. Si tratta di una graditissima, proficua collaborazione che prosegue una tendenza in tal senso inaugurata alla fine di settembre del 2019 con l’arrivo a San Marco dal Museo del Prado dell’Annunciazione di Robert Campin, in occasione dei 150 anni del Museo. L’auspicio di tutti è che i fiorentini e i turisti italiani e stranieri possano presto vedere di persona questo ulteriore capolavoro dell’artista, esemplare della fase della sua attività più attenta ai rinnovati modelli della visione rinascimentale.

Come affermato da Stefano Casciu, Direttore regionale dei musei della Toscana, l’accordo “va nella direzione di valorizzare le raccolte dei nostri musei ed allo stesso tempo di contribuire, ai massimi livelli e nel rispetto di tutte le condizioni di sicurezza, ad iniziative di rilevanza nazionale, come si preannuncia la mostra dedicata da Forlì a Dante in questo anno di celebrazioni del grande Poeta”.

Per Angelo Tartuferi, Direttore del Museo di San Marco, le due tavolette di Forlì, riunite con ogni probabilità in origine a formare un dittico, “costituiscono uno degli esemplari più importanti a riprova dell’intima e assoluta sintonia dell’Angelico con la visione e i modi pittorici di Masaccio”.

Il Direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt dice: “Il virtuoso scambio di opere d’arte conferma l’efficacia e bontà della politica delle Gallerie degli Uffizi di decentrare i flussi e valorizzare luoghi erroneamente considerati periferici, ma che, al contrario, sono i veri centri di cultura e di scambi dell’oggi e del domani”.

Secondo Gianfranco Brunelli, Direttore delle grandi mostre della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì: “Tornare a Beato Angelico nel riallestimento del Museo San Marco, con l’ospitare nella mostra forlivese il suo Giudizio Finale, riassume il significato, nell’anno di Dante, di riproporre il forte legame tra la visione della parola e la parola dipinta, tra l’artista e il poeta, che ha in Dante e nell’Angelico una correlazione profonda”.

Per Stefano Benetti, Dirigente Cultura del Comune di Forlì, “l’accordo si configura come un importante momento di collaborazione tra istituzioni culturali e come una concreta azione di valorizzazione del nostro patrimonio artistico civico grazie all’inserimento dei due dipinti forlivesi nel prestigioso percorso del Museo di San Marco di Firenze dedicato al Beato Angelico”.

UN VIAGGIO LUNGO TRECENTO CAPOLAVORI
PER RACCONTARE DANTE ALIGHIERI COME MAI PRIMA D’ORA FORLI’ E GLI UFFIZI INSIEME PER LA MAXIMOSTRA DEL SETTECENTENARIO

“Dante. La visione dell’arte” sarà accolta nei Musei San Domenico dall’1 aprile all’11 luglio: illustrerà a 360 gradi la figura del padre della Divina Commedia e della lingua italiana attraverso un percorso espositivo ricchissimo, con opere dal Medioevo al Novecento: tra queste, creazioni di Giotto, Beato Angelico, Filippino Lippi, Michelangelo, Tintoretto, fino ad arrivare a Sartorio, Boccioni, Casorati e altri maestri del contemporaneo.
Circa 50, tra dipinti, sculture e disegni arriveranno dal museo fiorentino, che organizza la mostra insieme alla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì.

Un viaggio nella storia dell’arte tra Medioevo ed età contemporanea, con circa trecento capolavori selezionati dal Duecento al Novecento: da Giotto, Filippino Lippi, Lorenzo Lotto, Michelangelo, Tintoretto, fino ad arrivare a Boccioni, Casorati e tanti altri maestri del secolo scorso.
Sarà una esposizione monstre. Con “Dante. La visione dell’arte”, organizzata a Forlì, nei Musei San Domenico, ed in programma dall’1 aprile all’11 luglio, la Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì e le Gallerie degli Uffizi, nell’ambito delle celebrazioni promosse dal Mibact, racconteranno a 360 gradi la figura del Sommo Poeta, nel 7° centenario della sua morte.
Frutto di un robusto sodalizio tra i due enti, l’esposizione non è solo occasione per dare corpo all’anniversario dantesco: nel momento difficile che il mondo intero sta vivendo, intende rappresentare anche un simbolo di riscatto e di rinascita non solo del nostro Paese, ma del mondo dell’arte e dello spirito di cultura e civiltà che essa rappresenta.
Il progetto nasce da un’idea di Eike Schmidt, Direttore delle Gallerie degli Uffizi, e di Gianfranco Brunelli, Direttore delle grandi mostre della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì. Curatori della mostra sono il Professor Antonio Paolucci e il Professor Fernando Mazzocca, coadiuvati da un prestigioso comitato scientifico.
La scelta di Forlì come scenario dell’esposizione è parte di una strategia di valorizzazione di un luogo e di un territorio che non costituisce solo un ponte naturale tra Toscana ed Emilia-Romagna. Forlì è città dantesca. A Forlì Dante trovò rifugio, lasciata Arezzo, nell’autunno del 1302, presso gli Ordelaffi, signori ghibellini della città. A Forlì fece ritorno, occasionalmente, anche in seguito.
La mostra affronta un arco temporale che va dal Duecento al Novecento.
Per la prima volta, l’intimo rapporto tra Dante e l’arte viene interamente analizzato e ricostruito, presentando gli artisti che si sono cimentati nella grande sfida di rendere in immagini la potenza visionaria di Dante, delle sue opere ed in particolare della Divina Commedia, o hanno trattato tematiche simili a quelle dantesche, o ancora hanno tratto da lui episodi o personaggi singoli, sganciandoli dall’intera vicenda e facendoli vivere in sé.
Circa cinquanta, tra dipinti, sculture e disegni, le opere che le Gallerie degli Uffizi, coorganizzatrici del grande evento espositivo, hanno messo a disposizione di “Dante. La visione dell’arte”. Tra queste, un corpus di disegni a tema di Michelangelo e di Zuccari. I celebri ritratti del Poeta di Andrea del Castagno e di Cristofano dell’Altissimo. E poi l’Ottocento con Nicola Monti, Pio Fedi, Giuseppe Sabatelli, Raffaello Sorbi e il capolavoro di Vogel von Volgestein, Episodi della Divina Commedia.
Non solo gli Uffizi, però, hanno aperto i loro ‘scrigni danteschi’ per la mostra: arriveranno prestiti dall’Ermitage di San Pietroburgo, dalla Walker Art Gallery di Liverpool, dalla National Gallery di Sofia, dalla Staatliche Kunstsammlungen di Dresda, dal Museum of Art di Toledo, Musée des Beaux-Art di Nancy, di Tours, di Anger; e poi dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, dalla Galleria Borghese, dai Musei Vaticani, dal Museo di Capodimonte e da innumerevoli musei italiani e stranieri.
Con uno stile magniloquente e antologico, l’esposizione condurrà il visitatore alla scoperta della crescente leggenda di Dante attraverso i secoli.
La prima fortuna critica del Poeta verrà mostrata attraverso le prime edizioni della Commedia e alcuni dei più importanti Codici miniati del XIV e XV secolo. Apposite sezioni saranno dedicate alla sua fama nella stagione rinascimentale, alla riscoperta neoclassica e preromantica del suo genio, alle interpretazioni romantiche e Novecentesche della sua opera ed eredità; capitoli a parte verranno dedicati all’ampia e fortunata ritrattistica dedicata all’Alighieri nella storia dell’arte, al tema del rapporto tra Dante e la cultura classica, alla figura di Beatrice, che il Poeta eleva ad emblema del rinnovamento dell’arte e delle sue stesse positive passioni.
Protagonisti della mostra saranno anche le molteplici raffigurazioni che alcuni tra i più grandi artisti hanno offerto nel corso della storia della narrazione dantesca del Giudizio universale, dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso. Il percorso si concluderà con capolavori ispirati, nella loro composizione, al XXXIII canto del Paradiso.

Il direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt: “In questo periodo, è importante ritrovare in Dante non solo un simbolo di unità nazionale, ma anche un conforto spirituale e un riferimento culturale comune. La mostra sarà un’occasione per ripensare al padre della lingua italiana e offrirà materia per riflettere sull’importanza che l’opera dantesca – i suoi versi, i personaggi e gli eventi da lui narrati – riveste ancora nei nostri tempi”.
Il direttore delle Grandi mostre della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì, Gianfranco Brunelli: “Penso di poter dire che se c’è un’esposizione davvero completa e davvero nazionale, nell’anno centenario di Dante, quella forlivese si iscrive ad esserlo. Non solo la Commedia viene ricondotta lungo i rispecchiamenti che l’arte ne ha tratto, ma tutto Dante. Un viaggio dell’arte e un viaggio nell’arte che ci consente di rivedere Dante, il suo tempo e il nostro”.

Dante. La visione dell’arte

Forlì Musei San Domenico
12 marzo – 14 luglio
2021

Mercoledì 25 marzo sui social del Mibact e le reti della RAI

La mostra “Ulisse” partecipa al Dantedì

con la realizzazione di un cortometraggio

La cultura non si ferma, ed anche se l’emergenza coronavirus sta impedendo al pubblico di visitarla, la grande mostra dedicata dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì ad “Ulisse” presso i Musei San Domenico continua a produrre cultura, proponendo – in occasione del Dantedì – un cortometraggio dedicato per l’appunto alla rappresentazione della figura di Ulisse nella Divina Commedia.

A partire da alcune celeberrime miniature ospitate in mostra, come quelle dell’anonimo fiorentino e dell’anonimo lombardo, la direzione artistica della mostra, presieduta da Antonio Paolucci e coordinata da Gianfranco Brunelli, ha curato la regia di un video che combina tradizione ed innovazione, sfruttando da una parte le tecniche proprie della realtà aumentata e dall’altra la straordinaria ed indimenticata voce di Vittorio Gassman.

“Abbiamo subito raccolto la sollecitazione avanzata dal Comitato promotore del Dantedì, fatta propria anche dal MiBACT, che per la giornata di mercoledì 25 marzo invita quindi tutti – spiega Gianfranco Brunelli – a leggere, alle 12, i versi di Dante. Ma letture in streaming, performance e video dedicati a Dante si alterneranno in realtà per tutta la giornata, sui social, accompagnati dagli hashtag ufficiali #Dantedì e #IoleggoDante”.

Il MiBACT e il Miur proporranno – insieme a scuole, musei, parchi archeologici, biblioteche, archivi e luoghi della cultura – immagini e video sui propri profili social per raccontare quanto la figura di Dante, nel corso dei secoli, abbia segnato profondamente tutte le espressioni culturali e artistiche dell’identità italiana. Al Dantedì parteciperà attivamente anche la Rai, selezionando dalle proprie teche le lecturae Dantis interpretate dai maggiori artisti del nostro tempo, programmate in brevi pillole nelle tre reti generaliste della Rai e su Rai Play.

E proprio in questo contesto troverà spazio anche la programmazione del cortometraggio realizzato all’interno della grande mostra forlivese “Ulisse. L’arte e il mito”.

Un’iniziativa analoga verrà proposta anche sul canale YouTube del MiBACT e sul sito del Corriere della sera.

Il cortometraggio forlivese rimarrà quindi visibile – nei giorni successivi – sul canale youtube della Fondazione di Forlì.

Si riproduce di seguito il testo introduttivo alla sezione su Dante all’interno della mostra forlivese

“Per l’alto mare aperto”. Dante e il superamento del mondo antico

Dante, che scrive duemila anni dopo il cosiddetto Omero, non usa direttamente la tradizione greca, ma quella latina (Cicerone, Stazio, Virgilio, Orazio, Ovidio), che a differenza dei post-omerici ha rivalutato le qualità umane di Ulisse. Nel canto XXVI dell’Inferno, Dante può conferire per questo a Ulisse una nuova e diversa centralità.

Fino a sovrapporre il suo Ulisse a quello di Omero. Il suo Ulisse non appartiene più al ciclo dei nostoi, dei ritorni da Troia. Egli è semmai una figura aperta al nuovo mondo. Il suo protagonista non è spinto dalla nostalgia del ritorno, né, come l’Enea virgiliano, da una missione; egli è un viandante, spinto dall’ardore “a divenir del mondo esperto / e de li vizi umani e del valore”, e si lancia “per altro mare aperto”, verso il “folle volo”.

Storia potente e controversa la versione dantesca di Ulisse, nella quale i due destini (Dante e Ulisse) si incontrano e si sovrappongono, poiché anche la Commedia è un viaggio – che coinvolge la visione cristiana del destino dell’uomo proprio nel confronto con l’etica antica.

Nel racconto dantesco, posto nell’VIII bolgia, quella dei fraudolenti, Ulisse si presenta con Diomede assieme al quale ha rubato il palladio da Troia ed è ricordato come l’artefice dell’inganno del cavallo. Ma il racconto dantesco va oltre. È della fine di Ulisse che Dante vuole parlare. Di quella fine della sua esistenza della quale i poeti (Virgilio, Cicerone e Orazio) non hanno detto. Il racconto di Ulisse non è relativo al suo peccato di ingannatore, per il quale viene condannato. Il suo racconto apre al riconoscimento della ragione, della mente: la facoltà più alta dell’uomo, che nel Convivio è detta da Dante “deitade”. Qui il viaggio di Ulisse si inscrive nel rapporto tra Grazia e Natura, e attiene al riconoscimento del limite naturale.

Dante costruisce l’episodio come un grande affresco sulle virtù e i limiti del mondo antico. Risuonano qui le parole di Orazio “quid virtus et quid sapientia possit, utile proposuit nobis exemplar Ulixen…” a ricordare la sua vicenda umana, l’avventura della sua mente umana, protesa al primato della conoscenza (“Considerate la vostra semenza: / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza”). E il problema è la dialettica tra virtù e conoscenza, la misura del limite. Questo affascina Dante. E questo è il problema che, fuoriuscendo dal Medioevo, Dante consegna all’umanesimo rinascimentale.

L’influsso di Dante e del suo Ulisse sull’arte è strettamente legato alla realizzazione dei cicli illustrati (tra manoscritti e prime edizioni a stampa) della Commedia. È inizialmente un interesse testuale, legato al corredo illustrativo, ma con passare del tempo si fa interpretativo. I capolavori illustrativi di Mariotto di Nardo e Guglielmo Giraldi della Biblioteca Apostolica Vaticana, o il Miniatore della Marciana, fino al Dante istoriato e illustrato di Botticelli e poi di Zuccari, segnano un influsso che autonomamente la pittura si incaricherà dapprima di accompagnare e in seguito, soprattutto nell’Ottocento (il vero secolo di Dante nell’arte), di sviluppare autonomamente, facendo vivere i singoli personaggi di storia propria, in una vicenda quasi staccata dal poema dantesco. Ma se c’è un passaggio interpretativo che influenzerà l’iconografia successiva questo è forse il commento landiniano alla Commedia. Landino presuppone in Dante il medesimo scopo che si erano prefissi Omero e Virgilio, dimostrare “l’uno per Ulixe, l’altro per Enea […] in che modo venendosi nella cognitione de’ vitii et conosciutogli, purgandosi da quegli, s’arriva finalmente alla contemplazione delle chose divine”. Una legittimazione pressoché completa dell’antico nell’umanesimo cristiano.

La mostra che i Musei San Domenico di Forlì propongono per il 2020 è di quelle che solo i grandissimi musei internazionali sanno programmare. La sfida è confermare il grande livello espositivo che in 15 anni Forlì ha saputo creare, grazie alla forza propulsiva e culturale della Fondazione Cassa dei Risparmi e alla regia di Gianfranco Brunelli, che dei progetti espostivi della Fondazione è il responsabile.

Il tema affrontato dalla mostra (da febbraio a giugno 2020, ai Musei San Domenico) è quello di Ulisse e del suo mito, che da tremila anni domina la cultura dell’area mediterranea ed è oggi universale.

Mito che si è fatto storia e si è trasmutato in archetipo, idea, immagine. E che oggi, come nei millenni trascorsi, trova declinazioni, visuali, tagli di volta in volta diversi. Specchio delle ansie degli uomini e delle donne di ogni tempo.

La vasta ombra di Ulisse si è distesa sulla cultura d’Occidente. Dal Dante del XXVI° dell’ Inferno allo Stanley Kubrick di “2001 – Odissea nello spazio”, dal capitano Acab di “Moby Dick” alla città degli Immortali di Borges, dal Tasso della “Gerusalemme liberata” alla Ulissiade di Leopold Bloom l’eroe del libro di Joyce che consuma il suo viaggio in un giorno, al Kafavis di “Ritorno ad Itaca” là dove spiega che il senso del viaggio non è l’approdo ma è il viaggio stesso, con i suoi incontri e le sue avventure.

Il contributo dell’arte è stato decisivo nel trasformare il mito, nell’adattarlo, illustrarlo, interpretarlo continuamente in relazione al proprio tempo.

Una grande viaggio dell’arte, non solo nell’arte. Una grande storia che gli artisti hanno raccontato in meravigliose opere. La mostra racconta un itinerario senza precedenti, attraverso capolavori di ogni tempo: dall’antichità al Novecento, dal Medioevo al Rinascimento, dal naturalismo al neo-classicismo, dal Romanticismo al Simbolismo, fino alla Film art contemporanea.

Un percorso emozionante, a scandire una vicenda che ci appartiene, che nello specchio di Ulisse mostra il nostro destino. Poiché Ulisse siamo noi, le nostre inquietudini, le nostre sfide, la nostra voglia di rischiare, di conoscere, di andare oltre. Muovendo alla scoperta di un “al di fuori” sconosciuto e complesso che è dentro di noi.

Il tema di questa mostra, che già si preannuncia eccezionale per livello dei prestiti e per qualità dell’allestimento, è assolutamente affascinante.

“Una mostra dove la grande arte non appare ancella, per quanto meravigliosa, della storia e del mito e non ne è mera illustrazione”, sottolinea Gianfranco Brunelli.

“Ma evidenzia come dalla diretta relazione tra arte e mito, attraverso la figura paradigmatica di Ulisse, nasca e si rinnovi il racconto. Perché l’arte, figurandolo, ha trasformato il mito. E il mito ha raccontato la forma dell’arte”.

Cervia, la spiaggia ama il libro

Presentazione in Anteprima Nazionale della mostra

“ULISSE. L’ARTE E IL MITO”

organizzata dalla Fondazione Cassa Dei Risparmi di Forlì

in collaborazione con il Comune di Forlì

e ospitata presso i Musei San Domenico

Lunedì 12 agosto 2019

Ore 21,30 – Grand Hotel Gallia, Piazzale Torino 16 – Milano Marittima

Lunedì 12 agosto alle ore 21,30 presso il Grand Hotel Gallia, Piazzale Torino 16 a Milano Marittima, la manifestazione culturale “Cervia, la spiaggia ama il libro” propone la presentazione in Anteprima nazionale della mostra 2020 “ULISSE. L’ARTE E IL MITO”, organizzata ai Musei San Domenico dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì in collaborazione con il Comune di Forlì (15 febbraio – 21 giugno 2019).

Interverranno Piero Boni, Presidente Confcommercio Ascom Cervia, Roberto Pinza, Presidente Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì, Cesare Brusi, Presidente dell’associazione ‘Cervia, la spiaggia ama il libro’, Andrea Corsini, Assessore al Turismo Regione Emilia Romagna, Michele Fiumi, Assessore alla cultura del comune di Cervia, Gian Luca Zattini, Sindaco di Forlì. La serata evento avrà il suo culmine nella relazione del Direttore Generale Mostre Musei San Domenico, Gianfranco Brunelli.

‘ULISSE. L’ARTE E IL MITO’ è la 15° grande esposizione promossa e ideata dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì, in collaborazione con l’Amministra­zione Comunale. La curatela è di Fernando Mazzocca, Francesco Leone, Fabrizio Paolucci e Paola Refice. La Direzione generale di Gianfranco Brunelli. Il prestigioso comitato scientifico è presieduto da Antonio Paolucci. Gli allestimenti sono curati dagli studi Wilmotte et Associés di Parigi e Lucchi & Biserni di Forlì.

Suddiviso in 13 sezioni, il percorso espositivo intende restituire la relazione tra arte e mito, attraverso la figura paradigmatica di Ulisse. Di come l’arte, figuran­dolo, ha trasformato il mito.

Da Omero a De Chirico e a Picasso, da Dante a Rodin, la nuova esposizione forlivese vuole indagare come l’arte abbia narrato e reinterpretato il mito di Ulisse attraverso i secoli: dall’antico al Medioevo, dal Rinascimento all’Ottocento, sino a tutto il Novecento. Del resto il ricordo di Ulisse lungo i secoli non si spegne mai. Neppure quando i poemi di Omero non sono più letti, per ignoranza del greco, fino a Petrarca e all’Umanesimo.

Condurrà la serata la giornalista Margherita Barbieri.

Durante l’evento, la musicista Valentina Giannetta eseguirà una libera interpretazione con arpa celtica di alcuni brani di musica greca antica.

La serata è organizzata in collaborazione con Batani Select Hotels.

Confcommercio Ascom Cervia e Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì collaborano dal 2006, anno in cui fu allestita la prima mostra ai Musei San Domenico dedicata al pittore forlivese Marco Palmezzano. Nel corso degli anni, il numero di visitatori dei Musei San Domenico, provenienti dalle strutture ricettive della nostra riviera adriatica, è progressivamente aumentato grazie alle iniziative che Confcommercio Ascom Cervia ha intrapreso, non solo con i propri associati, ma coinvolgendo le località limitrofe fino a Riccione. Le grandi mostre forlivesi sono, quindi, parte integrante dell’offerta turistica cervese.

Cervia, la spiaggia ama il libro è promossa dall’Associazione Culturale Cervia, la spiaggia ama il libro con il patrocinio del Comune di Cervia e si avvale della collaborazione di Confcommercio Ascom Cervia, Camera di Commercio di Ravenna, Comune di Cervia, APT Servizi Emilia Romagna, Il Resto del Carlino-Quotidiano Nazionale, Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì, Terme di Cervia, Batani Select Hotels, Ponzi srl, Yoga, Paradiso Hotel Bovelacci, Ristorante Al Pirata, Hotel Gambrinus & Strand, Cuore di Carta, Si Frutta, Hotel Nettuno, My Cicero, Consorzio Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena D.OP, Libreria Mondadori di Cervia e Libreria Librolandia di Milano Marittima. La rassegna letteraria si avvale del patrocinio del Consiglio Nazionale Ordine dei giornalisti e del Centro per il libro e la lettura.

La mostra “Cibo” di McCurry
apre una sezione a Casa Artusi
Venerdì 27 settembre alle 17.30 alla Chiesa dei Servi

Come annunciato in occasione della vernice presso i Musei di San Domenico, la straordinaria mostra fotografica di Steve McCurry dedicata al “Cibo” aprirà venerdì 27 settembre una sezione ad hoc presso Casa Artusi a Forlimpopoli.
L’appuntamento è fissato per le 17.30 presso la Chiesa dei Servi, piccolo gioiello rinascimentale della città artusiana che fino al 6 gennaio affiancherà così alle opere di Marco Palmezzano e di Livio Modigliani 6 scatti del grande fotografo americano dedicati al cibo come occasione conviviale di incontro e confronto tra le più diverse culture.
L’ingresso sia alla vernice, cui interverranno i due curatori della mostra forlivese, Monica Fantini e Fabio Lazzari insieme al sindaco di Forlimpopoli Milena Garavini e alla presidente di Casa Artusi Laila Tentoni, sia alla mostra è gratuito.

venerdì 20 settembre
Steve McCurry incontra il pubblico
Venerdì 20 settembre è il giorno di McCurry, alle 20.30 alla Chiesa di San Giacomo l’experience colloquia con il grande fotografo autore della mostra “Cibo”.

Serata a cura di Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì, Civitas srl, Mostre del Buon Vivere.

Steve McCurry, intervistato da Angela Frenda (“Cook, Corriere della Sera), ripercorre la sua carriera decennale e l’inedita mostra che inaugurerà al pubblico il giorno seguente ai Musei di San Domenico.

La mostra, a cura di Monica Fantini e Fabio Lazzari. è realizzata in collaborazione con Sud Est 57, progetto scenico a cura di Peter Bottazzi, organizzazione Tribucoop, video Sunset Produzioni, grafica Nicolò Lazzari, allestimenti Sistema Lab, realizzata da Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì, Civitas srl, Mostre del Buon Vivere.

Steve McCurry

Nato nei sobborghi di Philadelphia, McCurry studia cinema e storia alla Pennsylvania State University prima di andare a lavorare in un giornale locale. Dopo molti anni come freelance, McCurry compie un viaggio in India, il primo di una lunga serie. Con poco più di uno zaino per i vestiti e un altro per i rullini, si apre la strada nel subcontinente, esplorando il paese con la sua macchina fotografica.

Dopo molti mesi di viaggio, si ritrova a passare il confine con il Pakistan. Là, incontra un gruppo di rifugiati dell’Afghanistan, che gli permettono di entrare clandestinamente nel loro paese, proprio quando l’invasione russa chiudeva i confini a tutti i giornalisti occidentali. Riemergendo con i vestiti tradizionali e una folta barba, McCurry trascorre settimane tra i Mujahidin, così da mostrare al mondo le prime immagini del conflitto in Afghanistan, dando finalmente un volto umano ad ogni titolo di giornale.

Da allora, McCurry ha continuato a scattare fotografie mozzafiato in tutti i sei continenti. I suoi lavori raccontano di conflitti, di culture che stanno scomparendo, di tradizioni antiche e di culture contemporanee, ma sempre mantenendo al centro l’elemento umano che ha fatto sì che la sua immagine più famosa, la ragazza afgana, fosse una foto così potente.

McCurry è stato insignito di alcuni tra i più importanti premi della fotografia, inclusa la Robert Capa Gold Medal, il premio della National Press Photographers e per quattro volte ha ricevuto il primo premio del concorso World Press Photo. Il ministro della cultura francese lo ha nominato cavaliere dell’Ordine delle Arti e delle Lettere e, più recentemente, la Royal Photographic Society di Londra gli ha conferito la Centenary Medal for Lifetime Achievement.

McCurry ha pubblicato molti libri, tra cui The Imperial Way (1985), Monsoon (1988), Portraits (1999), South Southeast (2000), Sanctuary (2002), The Path to Buddha: A Tibetan Pilgrimage (2003), Steve McCurry (2005), Looking East (2006), In the Shadow of Mountains (2007), The Unguarded Moment, (2009), The Iconic Photographs (2011), Untold: The Stories Behind the Photographs (2013), From These Hands: A Journey Along the Coffee Trail (2015), India (2015), Leggere (2016) e Afghanistan (2017).

“OTTOCENTO L’arte dell’Italia tra Hayez e Segantini”

organizzata dalla Fondazione Cassa Dei Risparmi di Forlì

in collaborazione con il Comune di Forlì

e ospitata presso i Musei San Domenico

Dopo la grande esposizione 2018 sul Cinquecento “L’Eterno e il Tempo tra Michelangelo e Caravaggio” con oltre 100mila visitatori nel 2019 ci sarà “OTTOCENTO L’arte dell’Italia tra Hayez e Segantini”, dedicata all’Italia post-unitaria della seconda metà dell’Ottocento. Citati Hayez con il suo celebre bacio e Pelizza da Volpedo (l’autore del famoso ‘Quarto Stato’), oltre ai macchiaioli e a Segantini.

 

Il San Domenico di Forlì annuncia, dal 10 febbraio al 17 giugno 2018, una mostra che non è fuor di luogo definire “sontuosa”. Caratterizzata da un nuovo percorso espositivo che, per la prima volta, utilizza come sede espositiva la Chiesa conventuale di San Giacomo Apostolo, a conclusione del suo integrale recupero.

L’Eterno e il tempo tra Michelangelo e Caravaggio documenta quello che è stato uno dei momenti più alti e affascinanti della storia occidentale. Gli anni che idealmente intercorrono tra il Sacco di Roma (1527) e la morte di Caravaggio (1610); tra l’avvio della Riforma protestante (1517-1520) e il Concilio di Trento (1545-1563); tra il Giudizio universale di Michelangelo (1541) e il Sidereus Nuncius di Galileo (1610) rappresentano l’avvio della nostra modernità.

Ad essere protagonisti al San Domenico saranno il dramma e il fascino di un secolo che vide convivere gli inquietanti spasimi di un superbo tramonto, quello del Rinascimento, e il procedere di un nuovo e luministico orizzonte, con grandi capolavori del Manierismo.

L’istanza alla Chiesa di Roma di un maggiore rigore spirituale, se da un lato produceva una rinnovata difesa delle immagini sacre (soprattutto ad opera della ignaziana Compagnia di Gesù), dall’altro imponeva una diversa attenzione alla composizione e alla raffigurazione delle immagini, nonché a una ridefinizione dello spazio sacro e dei suoi ornamenti.

Si sviluppano così scuole e orientamenti nuovi. Dal tentativo di dare vita a «un’arte senza tempo» di Valeriano e Pulzone, nell’ambiente romano, agli esiti del modellato cromatico di Tiziano, al naturalismo dei Carracci, con quel loro «affettuoso timbro lombardo», come lo chiama Longhi.

Ma è anche la vita quotidiana che si affranca dai bagliori dell’estremo Rinascimento. Si avverte una “temperatura sentimentale” che pare interpretare il nuovo senso del Concilio tridentino che deve parlare a tutti i cuori creando una nuova forma di pietà e di devozione, con l’esaltazione della figura mariana, dei primi martiri e dei nuovi santi. Francesco d’Assisi fra tutti.

In Italia la battaglia più impegnativa per il dipingere e per il vivere moderno si combatte nella pittura di commissione sacra. Il protagonista di questa lotta è soprattutto Caravaggio. Egli tenta una innovazione radicale del suo significato religioso come fatto di religione profondamente popolare.

Tra l’ultimo Michelangelo a Caravaggio, passando attraverso Raffaello, Rosso Fiorentino, Lorenzo Lotto, Pontormo, Sebastiano del Piombo, Correggio, Bronzino, Vasari, Daniele da Volterra, El Greco, i Carracci, Federico Barocci, Veronese, Tiziano, Federico Zuccari, Guido Reni, Domenico Beccafumi, Giuseppe Valeriano e Scipione Pulzone, s’addipana un filo estetico di rimandi e innovazioni che darà vita a una età nuova. Comprese le forme alternative di Rubens e Guido Reni.
Come questa grandiosa mostra compiutamente racconta.

Un gusto, una fascinazione, un linguaggio che ha caratterizzato la produzione artistica italiana ed europea negli anni Venti, con esiti soprattutto americani dopo il 1929. Ciò che per tutti corrisponde alla definizione Art Déco fu uno stile di vita eclettico, mondano, internazionale. Il successo di questo momento del gusto va riconosciuto nella ricerca del lusso e di una piacevolezza del vivere, tanto più intensi quanto effimeri, messa in campo dalla borghesia europea dopo la dissoluzione, nella Grande guerra, degli ultimi miti ottocenteschi e la mimesi della realtà industriale, con la logica dei suoi processi produttivi. Dieci anni sfrenati, “ruggenti” come si disse, della grande borghesia internazionale, mentre la storia disegnava, tra guerra, rivoluzioni e inflazione, l’orizzonte cupo dei totalitarismi.
Dopo le grandi mostre dedicate a Novecento e al Liberty, nel 2017 Forlì dedica una grande esposizione all’ArtDéco italiana.
La relazione con il Liberty, che lo precede cronologicamente, fu dapprima di continuità, poi di superamento, fino alla contrapposizione. La differenza tra l’idealismo dell’Art Nouveau e il razionalismo del Déco appare sostanziale. L’idea stessa di modernità, la produzione industriale dell’oggetto artistico, il concetto di bellezza nella quotidianità mutano radicalmente: con il superamento della linea flessuosa, serpentina e asimmetrica legata ad una concezione simbolista che vedeva nella natura vegetale e animale le leggi fondamentali dell’universo, nasce un nuovo linguaggio artistico. La spinta vitalistica delle avanguardie storiche, la rivoluzione industriale sostituiscono al mito della natura, lo spirito della macchina, le geometrie degli ingranaggi, le forme prismatiche dei grattaceli, le luci artificiali della città.
Nell’ambito di una riscoperta recente della cultura e dell’arte negli anni Venti e, segnatamente, di quel particolare gusto definito “Stile 1925”, dall’anno della nota Esposizione universale di Parigi dedicata alle Arts Decoratifs, da cui la fortunata formula Art Déco, che ne sancì morfologie e modelli, nasce l’idea di una mostra che proponga immagini e riletture di una serie di avvenimenti storico-culturali e di fenomeni artistici che hanno attraversato l’Italia e l’Europa nel periodo compreso tra il primo dopoguerra e la crisi mondiale del 1929, assumendo via via declinazioni e caratteristiche nazionali, come mostrano non solo le numerosissime opere architettoniche, pittoriche e scultoree, ma soprattutto la straordinaria produzione di arti decorative.

Il gusto Déco fu lo stile delle sale cinematografiche, delle stazioni ferroviarie, dei teatri, dei transatlantici, dei palazzi pubblici, delle grandi residenze borghesi: si trattò, soprattutto, di un formulario stilistico, dai tratti chiaramente riconoscibili, che ha influenzato a livelli diversi tutta la produzione di arti decorative, dagli arredi alle ceramiche, dai vetri ai ferri battuti, dall’oreficeria ai tessuti alla moda negli anni Venti e nei primissimi anni Trenta, così come la forma delle automobili, la cartellonistica pubblicitaria, la scultura e la pittura in funzione decorativa.

Le ragioni di questo nuovo sistema espressivo e di gusto si riconoscono in diversi movimenti di avanguardia (le Secessioni mitteleuropee, il Cubismo e il Fauvismo, il Futurismo) cui partecipano diversi artisti quali Picasso, Matisse, Lhote, Schad, mentre tra i protagonisti internazionali del gusto vanno menzionati almeno i nomi di Ruhlmann, Lalique, Brandt, Dupas, Cartier, così come la ritrattistica aristocratica e mondana di Tamara de Lempicka e le sculture di Chiparus, che alimenta il mito della danzatrice Isadora Duncan.

Ma la mostra avrà soprattutto una declinazione italiana, dando ragione delle biennali internazionali di arti decorative di Monza del 1923, del 1925, del 1927 e del 1930, oltre naturalmente dell’expo di Parigi 1925 e 1930 e di Barcellona 1929. Il fenomeno Déco attraversò con una forza dirompente il decennio 1919-1929 con arredi, ceramiche, vetri, metalli lavorati, tessuti, bronzi, stucchi, gioielli, argenti, abiti impersonando il vigore dell’alta produzione artigianale e proto industriale e contribuendo alla nascita del design e del “Made in Italy”.

La richiesta di un mercato sempre più assetato di novità, ma allo stesso tempo nostalgico della tradizione dell’artigianato artistico italiano, aveva fatto letteralmente esplodere negli anni Venti una produzione straordinaria di oggetti e di forme decorative: dagli impianti di illuminazione di Martinuzzi, di Venini e della Fontana Arte di Pietro Chiesa, alle ceramiche di Gio Ponti, Giovanni Gariboldi, Guido Andloviz, dalle sculture di Adolfo Wildt, Arturo Martini e Libero Andreotti, alle statuine Lenci o alle originalissime sculture di Sirio Tofanari, dalle bizantine oreficerie di Ravasco agli argenti dei Finzi, dagli arredi di Buzzi, Ponti, Lancia, Portaluppi alle sete preziose di Ravasi, Ratti e Fortuny, come agli arazzi in panno di Depero.

Obiettivo dell’esposizione è mostrare al pubblico il livello qualitativo, l’originalità e l’importanza che le arti decorative moderne hanno avuto nella cultura artistica italiana connotando profondamente i caratteri del Déco anche in relazione alle arti figurative: la grande pittura e la grande scultura. Sono qui essenziali i racconti delle opere di Galileo Chini, pittore e ceramista, affiancato da grandi maestri, come Vittorio Zecchin e Guido Andloviz, che guardarono a Klimt e alla Secessione viennese; dei maestri faentini Domenico Rambelli, Francesco Nonni e Pietro Melandri; le invenzioni del secondo futurismo di Fortunato Depero e Tullio Mazzotti; i dipinti, tra gli altri, di Severini, Casorati, Martini, Cagnaccio di San Pietro, Bocchi, Bonazza, Timmel, Bucci, Marchig, Oppi, il tutto accompagnato dalla straordinaria produzione della Richard-Ginori ideata dall’architetto Gio Ponti e da emblematici esempi francesi, austriaci e tedeschi fino ad arrivare al passaggio di testimone, agli esordi degli anni Trenta, agli Stati Uniti e al Déco americano.

Non si è mai allestita in Italia una mostra completa dedicata a questo variegato mondo di invenzioni, che non solo produce affascinanti contaminazioni con il gusto moderno – si pensi per esempio al quartiere Coppedè a Roma o al Vittoriale degli Italiani, ultima residenza di Gabriele d’Annunzio – ma evoca atmosfere dal mondo mediterraneo della classicità, così come la scoperta nel 1922 della tomba di Tutankhamon rilanciò in Europa la moda dell’Egitto. E poi echi persiani, giapponesi, africani a suggerire lontananze e alterità, sogni e fughe dal quotidiano, in un continuo e illusorio andirivieni dalla modernità alla storia.

Trattandosi di un gusto e di uno stile di vita non mancarono influenze e corrispondenze col cinema, il teatro, la letteratura, le riviste, la moda, la musica. Da Hollywood (con le Parade di Lloyd Bacon o le dive, come Greta Garbo e Marlene Dietrich o divi come Rodolfo Valentino) alle pagine indimenticabili de Il grande Gatsby (1925), di Francis Scott Fitzgerald, ad Agata Christie, a Oscar Wilde, a Gabriele D’Annunzio

La mostra è curata da Valerio Terraroli, con la collaborazione di Claudia Casali e Stefania Cretella, ed è diretta da Gianfranco Brunelli. Il prestigioso comitato scientifico è presieduto da Antonio Paolucci.

Segreteria organizzativa
Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì
Ufficio mostre:
0543 1912030-31

Catalogo
Silvana Editoriale

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