No Dessì, no Falstaff

Posted by on December 16, 2009

12 thoughts on “No Dessì, no Falstaff

  1. Ecco la mia recensione sul Don Giovanni di Macerata, dove parlo anche di Myrto Papatanassiu.(pubblicata su Gli amici della musica)

    Don Giovanni : erotismo e dinamismo nel balletto dei sipari

    La stagione 2009 si è inaugurata il 23 luglio al Teatro Lauri Rossi con un nuovo allestimento del Don Giovanni di Mozart, proposto nella versione viennese del 1788.
    Pier Luigi Pizzi ha costruito una scatola scenica fortemente prospettica, con fondali, pareti e soffitti a specchio che ampliano gli spazi e riflettono l’immagine dei personaggi in ogni loro azione, anche quelle più private come il vestirsi e lo svestirsi, al centro ha posizionato un grande letto bianco quasi onnipresente che era il luogo principe dell’azione ed ha inventato un balletto di sipari rossi che si muovono in varie direzioni per il cambio veloce degli ambienti, dovutamente circostanziati e credibili, anche se non strettamente fedeli al libretto. Gli spazi allargati e approfonditi, le immagini fittizie perché riflesse, il brillio moltiplicato dei colori e delle luci rappresentano le nostre illusioni. Nel mio immaginario ho provato a sostituire i sipari rossi con tutti specchi e il balletto degli specchi mi ha dato maggiormente l’idea dell’illusione e dell’inganno, perché crea un gran tourbillon nella testa. Magnifica l’idea di uno spazio aperto nel sottopalco per celare o far scivolare le persone che non vogliono mostrarsi e per inghiottire Don Giovanni trascinato e dilaniato da fameliche Erinni nude. Spettacolare l’uso del mantello rosso fatto roteare da Leporello.
    Sul piano musicale è mancata la tinta mozartiana. Il direttore Riccardo Frizza, alla guida dell’Orchestra Regionale delle Marche ha calcato la mano sulle sonorità e sulle scansioni, eludendo il mistero, il brivido, il sarcasmo, la passione, l’ironia, la giocosità, la seriosità, la paura, la leggerezza, la canzonatura, l’istintività, il diabolico, che nel Don Giovanni si intersecano, si inseguono, si alternano, si amalgamano.
    Sul piano vocale c’è stata una gara di voci che non ha favorito l’attuazione della linea mozartiana di canto.
    Don Giovanni e Leporello sono due giovani vivaci e spensierati che mostrano spesso le loro nudità, fin dove è possibile ovviamente, ed essendo interpretati da due bei ragazzi come Ildebrando D’Arcangelo e Andrea Concetti, la visione è proprio gradevole. D’Arcangelo presenta un Don Giovanni goliardico, che sprigiona eros da tutti i pori, appiccica tutte le donne al muro inondandole di effusioni amorose e oltre, circuisce l’una e in attesa che quella si riprenda sbaciucchia l’altra, a Zerlina infila una mano su su sotto la gonna per farla capitolare, insomma è un gran pomicione che si vuole divertir, il classico tipo che “dove non arriva ci butta il cappello” e, “bello e impossibile con quello sguardo e quella bocca da baciare” come canta Gianna Nannini, nessuna gli resiste. Ma anche Leporello si dà da fare e così tutte le coppie invitate alle nozze di Zerlina, che, anche lei, non è uno stinco di santo e sa come prendere Masetto. Scene stuzzicanti sul grande letto ci sono anche per loro e sul letto si svolgono anche molti dialoghi tra il Don e Leporello
    Intelligente scegliere il modo più naturale per l’ingresso del Commendatore che viene a cena: camminare.
    D’Arcangelo, scattante ed elastico sulla scena, è un bravo artista e un bravo interprete. Ha una valanga voce, densa, scura, possente, ampia, estesa, rotonda, bellissima, che sa anche ammorbidire (“Deh, vieni alla finestra”), ma che a volte usa in modo irruento (“Fin ch’han del vino”). D’Arcangelo ha detto di essere stato fregato dall’acustica del teatro che non conosceva e poi lui è ai primi Don Giovanni e avrà modo di perfezionarsi. La pasta c’è in ogni senso.
    Andrea Concetti veste alla perfezione i panni di Leporello: mobilissimo nell’azione, incisivo nell’interpretazione, bravissimo nel canto, è un artista provetto, dotato di voce poderosa, grande e maestosa, di una mimica facciale e di un’agilità gestuale sorprendenti.
    Il soprano greco Myrtò Papatanasiu (Donna Anna) e il tenore americano Marlin Miller (Don Ottavio) sono troppo rabbiosi nel canto, la voce c’è ed è di bel timbro, ma è quasi sempre usata sul forte e sul gridato, lei usa ogni tanto la messa di voce e i filati, lui prova con le mezze voci ma esce il singhiozzo e la tinta mozartiana resta dietro le quinte, perché non c’è neanche in orchestra.
    Donna Elvira entra con valigia, borsa e cappello e, mentre lei inveisce contro Don Giovanni, lui e Leporello si rotolano nello spazio segreto del sottopalco. In questo ruolo Carmela Remigio si esprime con voce vibrante, estesa, ricca di armonici e con accento pungente e aggressivo, è agile ma più spessore avrebbe dato più energia al canto.
    La vocalità più mozartiana ce l’ha Manuela Bisceglie (Zerlina), un soprano pulito e melodioso con bei trilli e giusta linea di canto.
    William Corrò è un bravo e agile Masetto, Enrico Iori (il Commendatore) non è un basso profondo, ma canta bene.
    Molto belli i costumi, rossi poi neri per Don Giovanni, bianchi per Leporello ed Elvira, bianchi poi neri per Anna e Ottavio, colori pastello per gli altri, nero e giallo per le maschere, nero per i servitori
    I movimenti coreografici sono di Roberto Pizzuto, le luci sono di Sergio Rossi.
    Lo spettacolo ha riscosso il gradimento del pubblico.

    Madama Butterfly (affidata a Pizzi) e La Traviata (affidata a Gasparon) hanno goduto degli spazi dello Sferisterio, che hanno permesso una maggior accoglienza di pubblico, ma anche una dilatazione dell’azione scenica fino agli estremi lati del palcoscenico, per conferire maggior teatralità agli ingressi, alle uscite e ai posizionamenti delle masse. Lo stile registico e quello scenografico di maestro ed ex-allievo si espletano su basi comuni: eleganza, armonia delle linee e del gesto, colori netti con predominanza del bianco e, in quest’anno di tagli, anche essenzialità delle scene.

    Giosetta Guerra

  2. Traviata: senza la Dessì, scenografia annacquata

    Tre ore e un quarto di melodramma, ancor più che verdiano, zeffirelliano. Ma le arie del maestro, ultimamente, sono intirizzite e intasate. Primo e ultimo atto senza colore: si salva solo il finale pirotecnico e oleografico del secondo atto: il quale, comunque, ricorda troppo da vicino l’impianto d’allestimento scenico de “I pagliacci”. La vera pagliacciata, però, si sa, c’è stata nella conferenza stampa di presentazione dell’opera. Ma lasciamo ora fuggire e perdere ogni… Dessìo.
    Da quel lontano 21 dicembre 1881 della prima al Teatro Costanzi, molteplici sono state le rappresentazioni di questa pietra miliare del melodramma italiano, impossibile citare tutti gli artisti che hanno interpretato tale opera, un vero e proprio firmamento: Gemma Bellincioni, Roberto Stagno, Gilda Dalla Rizza, Claudia Muzio, Tito Schipa, Beniamino Gigli, Maria Caniglia, Renata Tebaldi, Maria Callas, Virginia Zeani, Alfredo Kraus, Franco Tagliavini, Magda Olivero, Luciano Pavarotti. Il presente allestimento, di Franco Zeffirelli è una ripresa ed è stato appositamente concepito per la stagione del 2007, riscuotendo grande successo di critica e di pubblico (nonostante le vecchiaggini di certe riproposizioni d’ambiente).
    Martedì 29 dicembre sera è andato in scena il terzo cast: Violetta Valery interpretata, senza sbavature, da Cinzia Forte.
    Ha sottolineato brillantemente il maestro Gianluigi Gelmetti (l’invito a cena per Daniela Dessì, ci stiamo ancora chiedendo, è sempre valido?): “è strano l’amore; è strano il sacrificio; è strana la tomba. Dentro questa stranezza Violetta vive le sue follie, vere o presunte, dalla gioia iniziale, quella per la vita, alla gioia finale, quella per la morte”.

    LA SCENA – Libiàààm ne’ lieti calici… della discordia.
    LA COMPAGNIA – Solo e bene accompagnato.
    IL VINO – Moet et Chandon in veste gigante da 6 litri; ricoperto interamente da foglie d’oro, il suo costo si aggira sui 2.500 euro. Bazzecole per uomini traviati. Dall’alcool, prima che dal lusso.

    Federico Ligotti

  3. PUBBLICATO SU MUSICA E SCUOLA

    Roma – Teatro dell’Opera: La Fanciulla del west.
    (recita del 15 aprile 2008)
    Servizio di Giosetta Guerra

    Aver la possibilità di assistere oggi a La Fanciulla del west di Puccini è una rarità, ma diventa una preziosità se si ha la fortuna di incontrare un cast come quello che ha interpretato l’opera al Teatro Costanzi di Roma. Sommi artisti Dessì, Armiliato e Carroli, attorniati da comprimari perfetti nel ruolo dei minatori cercatori d’oro presenti nel saloon della Polka.
    Il primo personaggio ad emergere è lo sceriffo Jack Rance, che non poteva avere interprete migliore di Silvano Carroli, sia per l’autorevolezza dell’aspetto (la sua stazza si impone sugli altri quasi con naturale imperio) sia per quella vocalità non più modello di fermezza e di gradevolezza, e per questo adatta ad un personaggio cinico, ma ancora apprezzabilissima per ampiezza, estensione, padronanza tecnica, sicurezza d’emissione. Silvano Carroli, un veterano del ruolo, ha festeggiato così i suoi 70 anni di età e, durante un intervallo dell’opera il M° Gelmetti gli ha consegnato una medaglia per i suoi 45 anni di carriera.
    Nonostante l’assenza di una grande aria per Minnie, Daniela Dessì è stata protagonista assoluta e grande grande grande per la bellezza della voce e per l’intensità dell’interpretazione. Temperamento formidabile, aderisce perfettamente al personaggio. In palcoscenico è un’attrice completa: svolge le mansioni di ostessa con naturalezza, come se quello fosse il suo mestiere abituale, esprime i sentimenti di diversa natura con spontaneità disarmante, ma la voce, signori miei, la voce ha mille sfaccettature e ogni suono ha il potere di inglobare lo spettatore in un campo magnetico di incontaminato piacere. La voce, tagliente nei rifiuti, si punteggia di espressività nel canto di conversazione, lanciata e svettante nelle ascensioni acute, tocca l’anima nel canto di disperazione, le espansioni vocali sono ricche di vibrazioni, la linea melodica è morbida e sostenuta, la melodia classica non c’è ma è sostituita da un continuo parlar cantando intessuto di tensioni, passioni, abbandoni di difficile esecuzione. No problem per Daniela, comunque, e no problem anche per Fabio. E già perché Dick Johson era Fabio Armiliato, il bel tenebroso che compare tutto nero a cavallo sulla porta del saloon come il cavaliere del mistero. Il ruolo del tenore, difficilissimo per i frequenti passaggi alla zona acuta e per la mancanza di una vera linea melodica, ha avuto in Armiliato un interprete a tutto tondo e in una forma vocale smagliante: acuti luminosissimi, gravi ben timbrati, zona centrale bella, mezze voci sensibilissime, linea di canto omogenea e perfetta amalgama tra dominio della voce e intensità dell’interpretazione (come è nella sua natura). Che si vuole di più? “Ella mi creda” è stata cantata molto bene tecnicamente. La coppia si è imposta per bravura e per bellezza. La loro interpretazione è stata molto coinvolgente, il loro canto stupendo in tutta la gamma.
    Bravi interpreti anche gli altri: Armando Caforio (Larkens), baritono esteso e sonoro, il baritono intenso ed espressivo Francesco Musinu (José Castro), il tenore Patrizio Saudelli (Trin), spontaneo e sicuro nel gesto e nella voce, Francesco Facini (Ashby), Aldo Orsolini (Nick), il mezzosoprano Antonella Costantini (l’indiana Wowkle), il baritono Reda El-Wakil (Billy)
    Hanno contribuito al successo della serata l’Orchestra e il Coro del teatro, diretti da Gian Luigi Gelmetti e da Andrea Giorgi, partecipando con un discorso sonoro differenziato nell’intensità e nei colori e quindi appropriato alla tinta ambientale e all’espressione degli affetti.
    L’allestimento di Giancarlo Del Monaco, con le scene tipiche, sulla linea del déjà vu specialmente quella del saloon, ma assolutamente adatte e rispondenti alle nostre aspettative, perché è proprio ciò che vogliamo per La Fanciulla, arricchite da una stupefacente nevicata in diretta fuori della capanna di Minnie, con la complicità dei colori caldi delle luci di Wolfgang von Zoubek e Alessandro Santini, la semplicità dei costumi e la naturalezza della regia, mi è proprio piaciuto.
    Dissociandomi dal detto comune che tanta musica è sprecata per un soggetto così leggero, La Fanciulla del west mi è sempre rimasta negli occhi e nel cuore.

  4. L’opera in Santa Cecilia lodevole iniziativa da rendere continuativa.

    La Bohème che incanta i romani… e non solo.

    ROMA – Chi l’avrebbe mai detto che il famoso Auditorium per concerti Santa Cecilia di Roma, oggi rinominato Auditorium Conciliazione, avrebbe ospitato l’opera lirica? E invece l’Orchestra Sinfonica di Roma, capeggiata dal versatile direttore d’orchestra Francesco La Vecchia, allestisce l’opera su quel palcoscenico e in forma scenica, anche se le scene sono naturalmente artigianali, per lo più dipinte, attinenti agli ambienti richiesti e senza velleità di competizione (scene di Salvatore Liistro, costumi di Fabrizio Onali, luci di Alessandro Vittori).
    Ma i cantanti, caro mio, sono dei signori cantanti, almeno quelli che ricoprono i ruoli protagonisti. Pensate che Mimì e Rodolfo ne La Bohème andata in scena la prima decade di novembre erano nientemeno che Daniela Dessì e Fabio Armiliato, roba da far invidia a qualsiasi teatro. Con loro la tinta pucciniana emerge, nel canto di conversazione, negli intensissimi duetti d’amore, nella sognante delicatezza dei pianissimo e del canto a fior di labbra della Dessì e nell’empito vocale dinamicamente colorito degli slanci lirici di Armiliato. Il connubio di un ottimo mezzo vocale e di una tecnica ineccepibile permette loro una perfetta aderenza al linguaggio musicale pucciniano, ricco di contrasti, effetti, invenzioni, evocazioni, timbri melodici. L’afflato melodico, l’armonia raffinata e sublime, i preziosismi della scrittura musicale, la crepuscolare poesia delle piccole cose trovano in questa coppia l’espressione esemplare.
    Lo smalto della gioventù domina il gruppo dei bohémiens, completato dal baritono Carlo Morini dotato di buona tecnica e notevole estensione vocale (Marcello), dal baritono Davide Malvestio, scenicamente vivace e vocalmente esteso (Schaunard), dal corposo (in ogni senso) basso Alexandre Vassiliev nelle vesti di Colline e dal bravo e scintillante soprano Anita Selvaggio (Musetta), il basso Alessandro Calamai porta la doppia maschera di un avvinazzato Benoit e di un caricaturale Alcidoro. Bravi anche il tenore Pierluigi Paulucci, un dinamico Parpignol e il basso Francesco Puma, il Sergente. Il Nuovo Coro Lirico Sinfonico Romano, diretto da Stefano Cucci, è in grado di svolgere bene il suo compito. Bravo e colorato il vivace coretto dei bambini (Coro Pueri Cantores Arts Academy preparato da Annalisa Pellegrini). La regia, firmata dalla giovanissima Cecilia La Vecchia e curata anche dal più esperto Maurizio di Mattia, tiene presente che situazioni divertenti e caricaturali fanno da contrappeso a quelle tristi e nostalgiche. Gli strumenti dell’Orchestra Sinfonica di Roma, diretta da Francesco La Vecchia, a volte evanescente a volte frizzante a volte esplosiva a volte cupa, in un fitto dialogo con l’intreccio vocale del palcoscenico, sono artefici di dettagli descrittivi che incrementano la freschezza del dipinto. Lodevole iniziativa da rendere continuativa.
    Giosetta Guerra – Gli Amici della Musica, Novembre 2007

  5. NOI VOLEVAMO ASCOLTARE LA PLURIPREMIATA
    DANIELA DESSì IN TRAVIATA.
    NESSUNO HA IL DIRITTO DI TOGLIERCI
    QUESTA POSSIBILITà

    Daniela Dessì
    Premio “Tiberini d’Oro 1998”
    Premio “GIORDANO” – Baveno
    Premio “ZENATELLO” – Verona
    Premio “PUCCINI” – Torre del Lago
    Premio “VERDI” – Milano
    Premio “CILEA” – R. Calabria
    Premio “MAZZOLENI” – Palermo
    Premio “GIGLI D’ORO” – Recanati
    Premio “MASCAGNI D’ORO”
    Premio “M. POBBE” – Vicenza
    Premio “Le Muse” 2007 – Firenze
    Regina della Lirica 2007- Assoc. Mus. Tiberini

    L’Associazione Musicale “M. Tiberini”
    incorona il soprano DANIELA DESSI’

    REGINA DELLA LIRICA

    “Per l’assoluta bellezza del timbro vocale,
    per l’incontaminata purezza del canto,
    per l’arte di rendere ai massimi livelli
    l’espressività lirica dei grandi temi affettivi,
    sia come attrice che come cantante.”

    Teatro Tiberini S. Lorenzo in Campo (pu)
    7 Agosto 2007

  6. Sig.ra Guerra,

    perchè non ci parla della Myrto Papatanassiu vista e ascoltata nel Don Giovanni di Macerata e che verrà ripreso nel 2010 in Ancona ?

    n.b.

    Forse i due Maestri, Pizzi e Zeffirelli, hanno gli stessi gusti.

  7. Il mio suggerimento è stato “no Dessì, no Traviata”, perché senza la Dessì io non mi muovo per andare a Roma. Aspettavo con ansia questa edizione con Dessì-Armiliato: una coppia così affiatata chissà quanta passione ci avrebbe trasmesso! Proprio come la Callas e Di Stefano che sto ascoltando in questo momento in Traviata. Mi vengono i brividi a pensarci… invece niente, il caro Zeffirelli mi ha privato di questo piacere.
    A questo punto facciamo dire alla Dessì “no Traviata, no Falstaff”(anche se anche noi ne saremo privati).

    Giosetta Guerra

  8. La lingua di Zeffirelli colpisce, la Dessì incassa, non somatizza, anzi passa al contrattacco.

    Conferenza stampa movimentata quella che si è svolta al Teatro dell’Opera per presentare «La Traviata» di Verdi, dal 16 dicembre al Teatro Costanzi, ultimo spettacolo della stagione. Le star sul palco dovevano essere Daniela Dessì e il marito Fabio Armiliato, ma è arrivato il forfait «per un insieme di circostanze legate alle scelte compiute nelle regie degli allestimenti». Anzi, la Dessì ha declinato anche la prossima regia di Zeffirelli, il Falstaff: opera, questa, che il 23 gennaio aprirà la stagione 2010 del Costanzi.
    La rottura è chiara e Zeffirelli prima la imputa a ragioni vocali. «La Dessì non fa Falstaff? Beh mi spiace – commenta il regista – Quanto alla Traviata immagino sia per prudenza. Lei che ha avuto una gran carriera forse nello stato in cui è ora sente un confronto rischioso con il pubblico». Non è d’accordo Gianluigi Gelmetti, il direttore d’orchestra: «Sul fatto vocale non sono d’accordo. La Dessì ha una forma vocale eccellente. E come uomo devo ammettere che mi piace. Un appuntamento con la Dessi io lo prenderei». Ci vuole una seconda domanda a Zeffirelli per far emergere le vere motivazioni dell’esclusione: «La Dessì è magnifica per fare Alice ma non più Violetta – dice Zeffirelli -. E’ una signora ben piazzata con un marito che la cura sempre. Mi piace pensare a una Traviata giovane, una cosa di ragazzi. Questo è forse il più bell’allestimento che ho fatto, anche di più di quello che feci con la Callas».
    Già prima del giudizio sulla Dessì, Zeffirelli aveva scaldato l’atmosfera con insulti pesanti, alla giornalista Livia Bidoli del sito di recensioni http://www.GothicNetwork.org, che ora minaccia una denuncia. Il regista raccontava di una Traviata all’Opera di Amburgo, con la festa di Violetta ambientata in una casa di prostitute che, dietro una parete trasparente, si vedono fare il bidet, e ha concluso: «del resto sono puttane, hanno bisogno di lavarsi, sono lì per fare cose, un po’ alla Marrazzo». A questo nome la giornalista ha replicato con indignata violenza che lo stesso vale per Berlusconi, che non è ammissibile continuare a dire queste cose, che bisogna farla finita. A Zeffirelli, che le chiedeva chi lei fosse, la donna ha risposto di essere della stampa e di aver partecipato alla manifestazione di sabato “No B-Day”. «Se parla di Marrazzo – ha detto la giornalista – allora dobbiamo parlare anche di Berlusconi che ha un casino a casa sua». A questo punto il regista ha perso la pazienza ed è passato agli insulti: «Questo è un teatro serio, vada via mascalzona, cretina, lei è una stronza, vada a fare in culo, lei non ha cittadinanza qui, non si deve permettere, Berlusconi è un amico mio è un uomo straordinario».
    Reazione uterina, la sua, da maestro con la “m”, appunto, minore.
    Le scuse sono arrivate in serata: «Chiedo scusa agli astanti, soprattutto alle donne, per aver perso il controllo dei nervi ma sono stato provocato»: è lo stesso Franco Zeffirelli, in tarda serata a chiamare l’Ansa per scusarsi con i presenti, soprattutto con le signore, della lite all’Opera di Roma con una giornalista. «Ho perso la pazienza – spiega infine il regista – perchè sono abbattuto per una serie di coincidenze della mia vita e forse perché provengo dalla scuola di Strehler, che vomitava a volte degli insulti indecorosi sugli altri. Sono dispiaciuto e chiedo scusa per la mia caduta di stile. Ma ribadisco che sono stato provocato».
    Date le circostanze, Zeffirelli ha dimostrato, anzi dimostra, nemmeno di esserci andato, a scuola.
    Intanto l’Opera ha dato il via alla Traviata: Myrtò Papatanasiu, Cinzia Forte e Mina Yamazaki si alterneranno nel ruolo di Violetta Valery, al posto della ingiustamente screditata Daniela Dessì.
    Proprio la Papatanasiu è stata Violetta nella prima delle rappresentazioni per scolaresche e loggionisti, andata in scena mercoledì 16 alle 18, con il biglietto al modico prezzo di 8 euro.
    Il giorno successivo, giovedì 17, si è replicata l’anteprima: nello scomodo orario mattiniero delle 11: stavolta a essere Traviata (operisticamente quanto metaforicamente) è stata la fortissima Forte. I biglietti sono andati esauriti in entrambi i casi: overbooking olè.
    All’Opera, infine, con tutta la famiglia, la domenica prima di Natale. È l’ultimo invito per il 2009 uscito dalla fucina del Servizio Didattica del Teatro in occasione dell’attesissimo allestimento della “Traviata” di Giuseppe Verdi con il timbro di Gianluigi Gelmetti, Franco Zeffirelli e Raimonda Gaetani. Il 20 dicembre alle ore 11 il Teatro spalancherà le sue porte per “La traviata. Racconto d’Opera”, spettacolo realizzato in collaborazione con l’assessorato Istruzione, diritto allo studio e formazione della Regione. Ragazzi, genitori, nonni vivranno una giornata di festa assieme agli artisti e ai musicisti. Una voce narrante, accompagnata dal commento musicale di un pianoforte, racconterà in maniera appassionante la storia d’amore tra Violetta e Alfredo. Ma il narratore sul palcoscenico non sarà solo. Al suo fianco i tre personaggi principali che incastoneranno nel racconto le arie, i duetti, i momenti musicali più significativi del capolavoro verdiano.

    Prezzo del biglietto 8 euro (fino a esaurimento dei posti). È possibile acquistare i biglietti da venerdì 18 dicembre direttamente presso il botteghino del Teatro dell’Opera dalle 9 alle 17. Informazioni 06/48160.252-361; fax 06/48160.361 – 238; email servizio.didattica@operaroma.it

    Buona traviata, metaforica, lo ripetiamo, a tutti.

    Federico Ligotti

  9. PRINCIPATO DI MONACO
    MONTE CARLO – GRIMALDI FORUM, SALLE DES PRINCES.
    Una Forza del destino che è proprio una forza
    (recita del 25 gennaio 2008)
    Servizio di Giosetta Guerra

    Giuseppe Verdi nelle lettere inviate il 1° marzo 1869 da Genova all’amico senatore Pirolli e all’Arrivabene, per comunicare il buon esito de La Forza del destino, andata in scena alla Scala di Milano il 27 febbraio 1869 col tenore Mario Tiberini e il soprano Teresa Stolz, definisce la Stolz e Tiberini “superbi” e nella lettera scritta il 2 marzo all’editore francese li definisce “sublimi”.
    Gli stessi aggettivi possono essere senz’altro attribuiti a Fabio Armiliato e a Daniela Dessì, che hanno debuttato i ruoli protagonisti di Alvaro e Leonora al Grimaldi Forum, Salle des princes di Monte Carlo, Principato di Monaco il 25, 27, 29 gennaio 2008.
    La sera della prima, infatti, con la Dessì e Armiliato, interpreti degni delle magiche note del grande bussetano, si sono toccate le punte più alte dell’arte, alle stelle è stato l’entusiasmo del pubblico che ha chiesto il bis della “Vergine degli angeli” e lo splendido allestimento, una coproduzione dell’Opéra royal de Wallonie, l’Opéra de Marseille, l’Opéra -Théatre d’Avignon e l’Opéra de Vichy, ha contribuito visibilmente alla buona riuscita dello spettacolo. Le parrucche di Mario Audelio e le calzature d’epoca provenivano da Torino e da Milano.
    Daniela Dessì ha meritato grandi applausi per l’espressività del fraseggio e l’ispirazione dell’accento, per il bellissimo colore della voce, il brillio dei centri, la solidità dei gravi, la dolcezza delle mezze voci, per una mitica gestione del fiato e la naturale fluidità del suono in ogni registro nel cantare un difficile ruolo di Leonora, dipanato quasi sempre sull’acuto. Musicalissima e armoniosa anche nel canto di forza, la Dessì ha creato atmosfere sospese con una linea di canto intessuta di morbidezze e di dolcissimi filati anche rinforzati grazie ad una splendida messa di voce. Ma non crediate che i meriti siano tutti della natura, perché in primis si canta con la testa, “è il cervello che deve guidare il canto”, dice giustamente la Dessì, e lei sa come calibrare la voce. Sempre attenta a restituire le intense sfumature psicologiche del personaggio, umile e forte nel contempo, dolente nell’addio alla sua terra, implorante nella supplica alla Vergine (magia assoluta quella “Vergine degli angeli” a mezza voce con il suono elegante dell’arpa), tormentata nei ricordi indelebili, rassegnata nel soccombere al suo destino, il soprano è di una grandezza irrangiungibile e la sua voce dà il brivido che dava la Callas.
    Fabio Armiliato veste magnificamente i panni di Alvaro, un ruolo terribile per la voce di tenore specialmente nella seconda parte dove il canto è più teso e quasi furioso, e, come Tiberini “ in nessun’opera mai ci parve più grande, sia dal lato del canto che dell’azione drammatica.”… “la deliziosa romanza con cui si apre il terzo atto è stata cantata dal Tiberini (alias Armiliato) con quell’accento di cui egli solo possiede il segreto, e con quella correttezza artistica, che lunge dallo scemare, aggiunge espressività all’accento”… “Dopo la comica scena della minestra (atto IV), c’è il duetto tra baritono e tenore, quindi la grande aria della donna e finalmente il terzetto finale – tre pezzi in cui l’odio, l’amore, la rassegnazione cristiana trovano la loro più alta espressione – e in cui il Tiberini e la Stolz sono veramente sublimi per ispirazione d’accento e d’azione, assai bene secondati dal Colonnese nel duetto, dal Junca nel terzetto” (at present Armiliato, Dessì, Almanguer, Burchuladze). Non potrei trovare parole migliori di queste apparse su La Gazzetta Musicale di Milano il 3 marzo 1869 dopo la prima de La Forza al Teatro alla Scala, per definire la magnificenza di questi interpreti al Forum Grimaldi di Monte Carlo.
    Armiliato, dunque, è stato un raffinato cantante ed un sublime interprete, ha espresso la baldanza e la fierezza dell’eroe innamorato ed onesto, sensibile all’amicizia, all’amore e alla rinuncia, capace di grandi slanci sia sul piano umano che su quello spirituale, con una linea di canto omogenea, un legato ed un fraseggio accurati, un preciso scavo della parola e una voce veramente bella nel colore timbrico, morbida nel canto a mezza voce, ferma nelle note scure, luminosa nelle ampie arcate melodiche, sicura nelle proiezioni acute. E poi non va sottovalutata la sua presenza scenica.
    All’altezza della bellissima composizione verdiana anche il baritono Carlos Almanguer (Don Carlos di Vargas) che ha cantato sempre sul forte ma molto bene, esibendo un mezzo vocale ampio, robusto e possente, di bel colore e di notevole spessore, insomma una voce importante ed una sicura tenuta del palcoscenico.
    Splendidi il duettino col tenore, quello di Carlo e Alvaro ferito, un gioiello di limpida e serena melodia favorito da un’orchestra di morbido accompagnamento, e il terzetto finale soprano-tenore-baritono.
    Tutto il cast comunque era abbastanza soddisfacente, prerogativa che non è di tutti i teatri.
    Il basso Enzo Capuano (marchese di Calatrava) ha esibito una buona voce scura di medio volume e dizione chiara, Lola Casariego, un mezzosoprano dalla voce agile e screziata, di bel timbro e di bel colore, non ha un gran volume ma ha dimostrato facilità di accesso ai vari registri ed è scenicamente valida nel ruolo gitano di Preziosilla, Paata Burchuladze (Padre Guardiano) ha il dono di una cavernosa voce di basso, corposa ed ampia, ma a causa di una dizione molto scandita e una linea di canto poco legata tende a rallentare e ad emettere suoni chiusi, un po’ alla russa, comunque i gravi sono poderosi e fanno da contraltare ai filati delicatissimi di Leonora, quasi due personalità a confronto; vocalmente e scenicamente versatile il buffo Roberto de Candia che ha esibito una bella vocalità, ampia e sonora, nel ruolo di Fra Melitone, corretto il mezzosoprano Karine Ohanyan (Curra, cameriera di Leonora), ben caratterizzato Mastro Trabuco di Guy Gabelle che ha buona voce di tenore, corretti il baritono Pierre Doyen (un alcade) e il basso Roger Joakim (un chirurgo). M° preparatore dil canto Achille Lampo.
    Le grandi scene corali, come i mulattieri e i contadini inginocchiati dentro l’osteria uniti in preghiera coi pellegrini che sfilano fuori campo dietro il velatino, o l’invocazione a mezza voce alla Vergine degli angeli, creano una sospensione emotiva grazie alle efficaci scelte registiche e alla magnificenza vocale dell’ottimo coro (presenti anche molti bambini), che in tutta l’opera ha fatto sentire gli effetti della potenza del canto. Formato dall’unione del Chœur de l’Opéra de Monte Carlo e dal Chœur de l’Opéra royal de Wallonie, è stato preparato dal bravo M° Stefano Visconti.
    Il suono dell’Orchestre Philarmonique de Monte Carlo ci è giunto morbido e ricchissimo di colori e sfumature. La direzione di Alain Guingal è stata fluida e quasi sempre rispettosa delle voci.
    Essenziali ed appropriate erano le scene ideate da Bernard Arnould, che, insieme alla brava regista Claire Servais, ha scelto ambienti scuri, filtrati o penetrati da raggi di luce bianca o alleggeriti da un chiarore proveniente da un enorme finestrone nel fondale velato da una tenda bianca. Sipari verticalmente scorrevoli hanno sveltito i cambi e l’uso del datato ma efficace velatino ha favorito la profondità della scena e la visione contemporanea di più ambienti. Dell’effetto visivo va dato merito anche al disegno luci di Olivier Wery, che ha prediletto toni chiaro-scurali di tipo caravaggesco. Belli i costumi dell’Opéra royal de Wallonie, specialmente quelli di Alvaro. Attenta la regia con una piccola defaillance in corso d’opera: non si è sentito il colpo di pistola lanciata a terra da Alvaro, ma si è visto prima il malore del Calatrava poi il fumo del proiettile. Simpatico il ballo di massa con grandi mascheroni dentro l’osteria, variopinta la scena del Rataplan con quattro cannoni e i precedenti mascheroni, ben fatta la scena della minestra col popolo pressante e Melitone impaziente, originale e pregnante la scena del trapasso di Leonora, che non cade a terra come corpo morto cade, ma va verso il fondo e resta in piedi, immobile, di spalle al pubblico, davanti al chiarore del fondale con le braccia allargate: era l’icona di un angelo (l’abito bianco monacale con larghissime maniche contribuisce a creare l’immagine) nel passaggio silenzioso dalla materia allo spirito.
    L’appagamento del pubblico per uno spettacolo di grande impatto ha fugato le ansie che di solito crea quest’opera, aumentate nella fattispecie, dal trovarci in una sala costruita sotto il mare.
    E, dopo lo spettacolo, artisti, giornalisti (bene accolti dal capo ufficio stampa Stephan Bouteloup), personaggi del settore, tutti riuniti per il raffinato incontro conviviale, durante il quale si è festeggiato con grande torta fiammeggiante, il compleanno di Jean Louis Granda, giovane Sovrintendente dell’Opéra di Monte Carlo.

    PUBBLICATO SU GLI AMICI DELLA MUSICA

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