Platonov

Posted by on January 31, 2010

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  1. Alessandro Haber è Platonov di Cechov al Teatro Rossini di Lugo

    Platonov al Teatro Rossini di Lugo nella produzione Nuova Scena – Arena del sole Teatro Stabile di Bologna- Emilia Romagna Teatro Fondazione non è un debutto, ma la conferma di una messa in scena già collaudata, che continua a raccogliere consensi da due anni nonostante la complessità del lavoro teatrale. Il dramma è incentrato su un personaggio introverso, insoddisfatto della vita che conduce distante anni luce da quelle che erano le inclinazioni della giovinezza e le aspettative della sua comunità, schiacciato in un contesto ristretto e decadente dal quale non ha la forza di liberarsi, un uomo abulico, inerte e anaffettivo che si consola con l’alcool e con le donne su cui esercita un incondizionato fascino. Alessandro Haber lo disegna con impressionante precisione tanto da far pensare che ci sia fra l’attore e il personaggio più di un’analogia. Ciò che avvince nel teatro cecoviano è la grande capacità di introspezione di ogni personaggio in scena così che la trama si configura attraverso le riflessioni e i dialoghi più che sugli eventi. Platonov è vittima di una sorta di inettitudine di fronte alla vita, che lo rende critico verso tutto e tutti ma contestualmente incapace di prendere in mano il timone della sua esistenza e veleggiare verso la meta prefissa. In realtà non ha nessuna meta, nessun obiettivo. Conscio del male che è dentro di lui, si guarda vivere con una sorta di insofferente abulia e con senso critico osserva il mondo che lo circonda e, quando si tratta di donne, cerca di acchiappare quello che può, il piacere momentaneo o la relazione, ma senza perdersi nel sentimento che è avulso dalla sua indole. Nello sviluppo dell’opera teatrale, lo vediamo indifferente al dolore della moglie (Pamela Giannasi) a cui peraltro lo legano l’affetto e la stima per essere una buona madre, una figlia affettuosa per il padre invalido e una moglie disposta a comprendere le trasgressioni del marito. E lo vediamo indifferente all’amore di Anna interpretata da Susanna Marcomeni, amante storica, giovane vedova indebitata che sposandosi potrebbe risolvere i suoi problemi e continua invece a sperare di essere ricambiata da Platonov. Lo vediamo scuotersi dal torpore alla vista di Sofia interpretata da Silvia Giulia Mendola, fresca moglie di un personaggio del suo entourage che gli riporta il ricordo della gioventù in cui forse riusciva a formulare sogni e a pensare di poterli realizzare, ma anche con lei non consuma altro che un rapporto di natura erotica e non si lascia toccare dalle profferte d’amore della fanciulla disposta ad abbandonare il marito per lui. Anzi, nell’apatia che lo contraddistingue, dove tutto il bene e il male del mondo gli scivola addosso come acqua su un vetro, lo vediamo a tratti irretito dalla giovane studentessa Marja interpretata da una ingessata ma pronta a sciogliersi Linda Gennari, e buttarsi nella conquista che risulta subito facile. Mi si perdoni una considerazione forse azzardata, Anton Cechov era un medico e sicuramente si sarà chiesto con i lumi della scienza perché certi soggetti mancano di volontà e di intraprendenza al punto da stopparsi la vita per sempre. A mio giudizio il male di Platonov è interiore, consiste in una sorta di continuo interiore malessere che gli annulla la volontà e lo induce a cercare consolazioni fatue come l’alcool che addormenta la coscienza, e le donne, che gli danno il piacere del corpo, ma non quello dell’anima che non è in grado di provare. Intono al protagonista c’è un tessuto sociale altrettanto malato, improntato alla decadenza dell’aristocrazia militare e terriera, ci sono i rapporti umani inconsistenti e rarefatti, segnati dall’interesse e dall’avversione reciproca, ben rappresentati da una scena claustrofobica basata sull’interno anonimo di un locale pubblico nel primo atto e nel secondo sull’aula scolastica dove Platonov esercita senza passione il suo lavoro di maestro. Le scene ideate da Antonio Fiorentino con le luci di Gigi Saccomandi (poche in un fondale desolatamente grigio) sono “non luoghi” dove l’identità si annulla e si scontrano i malesseri di ciascuno. Perfino la pioggia, gli scoppi dei fuochi artificiali, il suono nostalgico di un violino sono come ovattati, distanti, relegati in un sottofondo che non incide sull’atmosfera pesante del contesto. Quando nel finale una donna, forse l’unica che ha inciso sulla sua affettività, porrà fine alla vicenda terrena di Platonov, si intende chiaramente che gli ha reso l’ultimo dono sottraendolo al male di vivere. Questo dramma intenso, che ha conosciuto nel 1900 molte versioni teatrali con titoli diversi, nonché una versione cinematografica di Nikita Mikhalkov del 1977 e che viene riproposto in versione accorciata a tre ore rispetto all’originale di cinque ore dal regista Gianni Garella e da Nini Tchechovskaja, trasportandolo nella Russia della perestrojka per renderlo più comprensibile al pubblico moderno, a Lugo è stato applaudito a lungo e con calore. In particolare Alessandro Haber, ma anche le attrici che hanno l’ingrata parte di intercambiabili fonti di piacere mai corrisposte nonché i personaggi di contorno Rosario Lisma, Claudio Saponi, Marco Cavicchioli, Franco Sangermano, Matteo Alì nella parte di Osip, ladro e malvivente, Vladimiro Cantaluppi nonché lo stesso regista Giani Garella. Come è stato sottolineato dal regista Garella, da Linda Ferrari e da Haber nell’incontro con gli artisti organizzato dagli Amici del Teatro Rossini sabato 30 gennaio e destinato a fare cadere le impercettibili barriere che separano chi sta sul palcoscenico dallo spettatore, il teatro a differenza del cinema è un work in progress, dove ogni sera si possono aggiungere sfumature ai contorni dei personaggi e in questa lunga vita sul palcoscenico nei panni di Platonov ad Haber, se non lo aveva già di suo, qualcosa del personaggio si gli deve essere cucito addosso.

    Attilia Tartagni 31.01.2010

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